Addio Isao Takahata, l’altra metà dello Studio Ghibli. Che parlava francese

Se n’è andato a 82 anni Isao Takahata, maestro del cinema d’animazione giapponese e sodale di Hayao Miyazaki con cui fondò il mitico Studio Ghibli. Strettissimo il legame con la Francia: suoi gli adattamenti e le traduzioni in giapponese di tutti i cartoon di Michel Ocelot. “Una tomba per le lucciole” è il suo capolavoro …

Tra le molte foto rilanciate in rete nella triste occasione della morte di Isao Takahata, avvenuta giovedì 5 aprile, all’età di 82 anni, ce n’è una che identifica come meglio non si potrebbe il maestro del cinema d’animazione giapponese.

Lui sta seduto nel suo studio con le braccia piegate sulla nuca a sostenere il capo: alle spalle ha uno scaffale pieno di videocassette e dvd ma, soprattutto, una grande immagine del film Kirikou et la Sorcière (in italiano Kirikù e la strega Karabà) di Michel Ocelot, un altro padre nobile – questa volta francese – del cinema d’animazione.

Perché lo identifica? Perché Takahata (nato nella Prefettura di Mie nel 1935) ha avuto molto a che fare con la Francia: a cominciare dagli studi (una laurea in Letteratura Francese), dalla passione per la poesia di Jacques Prévert, dall’ammirazione e vera e propria folgorazione per il film del 1953 di Paul Grimault (sceneggiato da Prévert), La Bergère et le ramoneur. Per arrivare agli adattamenti e alle traduzioni in giapponese, da parte di Isao Takahata, del film dello stesso Grimault, Le Roi et l’Oiseau (rifacimento nel 1980 dell’incompiuto e sfortunato La Bergère et le ramoneur) e di tutti i capolavori animati di Michel Ocelot di cui si diceva (Kirikù, Principi e Principesse, Azur e Asmar).

Del resto l’influenza della cultura europea e del cinema d’animazione europeo – che appariva come una via d’uscita dagli schemi e dai limiti (veri o presunti) dell’animazione disneyana – è stata la cifra distintiva dei due grandi protagonisti dell’animazione giapponese Isao Takahata e Hayao Miyazaki che, non a caso, strinsero uno strettissimo sodalizio professionale e umano negli studi della Toei Animation dove si conobbero alla fine degli anni Cinquanta e dove lavorarono fianco a fianco, prima di fondare assieme, anni dopo, il mitico Studio Ghibli.

Allievo regista, sceneggiatore, musicista e poi anche disegnatore Takahata fa una lunga gavetta prima di arrivare all’esordio da regista, nel 1968, con La grande avventura del piccolo principe Valiant. In quegli anni e nei successivi avviene anche il passaggio dal cinema alla tv con la regia – sempre affiancato in vari ruoli da Miyazaki – di serie storiche e popolarissime come Heidi, Marco, Anna dai capelli rossi. Ma è a partire dalla metà degli anni Ottanta che Miyazaki e Takahata diventano figure complementari scambiandosi spesso i ruoli: come in Nausicaa della Valle del vento (1984) e Laputa – Castello nel cielo (1987) con Miyazaki regista e Takahata produttore.

Nel 1991, dopo due altri lungometraggi, la carriera di Isao Takahata sterza decisamente verso l’alto con il suo capolavoro, Una tomba per le lucciole, dolorosa vicenda di due ragazzini, Seita e la sorellina Setsuko, e della loro odissea tragica nella città di Kōbe, distrutta dai bombardamenti americani nel 1945, un prodromo di fuoco e fiamme al più devastante annientamento nucleare, di lì a due mesi, di Hiroshima e Nagasaki. Il film è un vero e proprio pugno nello stomaco e dipinge la guerra e le sue conseguenze, soprattutto sull’infanzia, con toni durissimi e mai compiaciuti: un monito etico nelle forme di una terribile poesia.

La cifra stilistica di Takahata inizia a profilarsi in forme diverse da quella di Miyazaki, più attenta alle intimistiche intermittenze del cuore come nel caso del secondo lungometraggio targato Ghibli, Omohide poro poro (Pioggia di ricordi, 1991), viaggio di un’impiegata trentenne che torna nel paese della sua infanzia, storia che Takahata risolve con una sapiente alternanza di flashback. Un film coraggioso che, per la prima volta, affronta in un’opera di animazione una tematica adulta tagliata con maestria su una figura femminile. Pom Poko del 1994 affronta poi le tematiche ambientali seguendo un gruppo di Tanuki (canidi dall’aspetto di procioni) il cui habitat è minacciato dalla speculazione edilizia.

Ma l’ulteriore sterzata e sorpresa avviene con I miei vicini Yamada (1999), scene di vita quodiana di una tipica famiglia giapponese, quasi una sit-com diretta con tocchi leggeri e umoristici. Il tutto disegnato con uno stile a bozzetti acquarellati molto realistici ma che si avvale di un efficace uso del computer. E arriviamo infine al 2013 con l’ultimo suo lungometraggio animato, il bellissimo, La storia della principessa splendente, creaturina luminosa trovata da un anziano tagliatore di bambù tra i fusti della pianta acquatica. Che crescerà diventando un’adulta Principessa di nome e di fatto, rivelando la sua natura soprannaturale, fino al ritorno sulla Luna suo luogo d’origine, e lasciando dietro di sé e in se stessa, una profonda nostalgia per gli affetti terreni.

Candidato all’Oscar nel 2015, la Principessa Splendente non ce la fece a vincere la celebre statuetta ma contribuì – come tutta l’opera e la vita del suo creatore hanno testimoniato – a far assegnare a Isao Takahata, davvero un giapponese «made in France», l’Ordre des Arts e des Lettres dello stato francese.