“La cena di Toni”, un giornalista de l’Unità, le canne e una malattia feroce. Su raicinema.it

Nella “Giornata delle malattie rare” va in onda su www.raicinema.it “La cena di Toni” uno degli ultimi film di Elisabetta Pandimiglio. Un delicato ritratto di Toni De Marchi, storica firma de l’Unità che, improvvisamente, si trova a dover ridisegnare il suo quotidiano a causa di una malattia feroce. Ma anche racconto ironico di quel grande tema che è la legalizzazione della cannabis ad uso terapeutico in Italia. Un film che parla di vita più che di malattia, nonostante la metta in scena con pudore e rispetto. E che in questi tempi di confinamenti ed isolamento ci riguarda ancora più da vicino …

Sono passati quasi cinque anni da quell’anteprima evento a MoliseCinema da dove ha cominciato il suo percorso, collezionando passaggi ad altri festival e premi, fino ad arrivare, alla messa in onda su RaiCinema.it in occasione della Giornata delle malattie rare, il 28 febbraio.

È La cena di Toni, uno degli ultimi documentari di Elisabetta Pandimiglio, tra i nomi doc del nostro cinema del reale e, soprattutto, tra quelli che non perdono il vizio di scrutare il contemporaneo al di là del conformismo rassicurante. Che sia la vita dei bambini in carcere (Mille giorni di Vito), la scelta “eretica” della non maternità (Sbagliate) o, come in questo caso, il rapporto con una malattia feroce che ti cambia la vita.

È una storia di resistenza, infatti, La cena di Toni. È uno sguardo, anche ironico, su quel grande tema che è la legalizzazione della cannabis ad uso terapeutico in Italia. Ed è pure, inevitabilmente, un’accusa contro quella malasanità che ieri ne impediva l’arrivo nelle farmacie ed oggi la fruizione ai malati. Ma è anche e, soprattutto, il ritratto delicato di un’esistenza, quella di Toni De Marchi, storica firma de l’Unità che, improvvisamente, si trova a dover ridisegnare il suo quotidiano nell’angusto perimetro del suo appartamento. Che di questi tempi drammatici, segnati dai tanti confinamenti, si carica di ulteriori significati.

Confinamento nel confinamento, infatti, è quello che sta vivendo Toni, come tanti altri malati del resto. Che ha pure vissuto l’esperienza del Covid, senza perdere neanche stavolta, però, quel suo caratteraccio da osso duro, da burbero di buon cuore. Come è sempre stato poi, anche prima di ammalarsi di sclerosi multipla.

E così lo vediamo sullo schermo, nel racconto attraverso i tre anni di attesa del farmaco. Con quella sua bella faccia rotonda, incorniciata dalla barba folta che sembra un Orson Welles veneziano. Con quel suo corpo da omone, che intimoriva un tempo e che ora deve trascinare a fatica, letteralmente. Con quelle sue bretelle colorate, sopra le Lacoste “d’ordinanza”, che ora si appuntano a braghette corte per lasciare respirare quelle gambe impazzite, rosse e sempre più immobili. E che non gli permettono più di mettere fuori il naso.

Mentre la città è lì che ci appare attraverso la sua finestra. Finestra-cerniera fra due mondi. Fuori le strade di Roma, gli snodi ferroviari, i tramonti infuocati e il passaggio delle stagioni. All’interno l’appartamento di Toni che il mondo se l’è tirato dentro. Il suo lavoro di giornalista che continua (lo scoop del mancato taglio agli F35 è suo), il via vai degli amici, la fisioterapista, le appassionate ricerche di ricette sul web per le sue proverbiali cene, preparate in coppia con Edison, assistente e vera e propria spalla comica quando si tratta di assaggiare il risultato.

Nel mezzo le telefonate agli amici per sapere “l’effetto che fanno le canne” e pure e soprattutto quelle al medico curante, per avere notizie del farmaco “incastrato” tra burocrazia, malasanità e possibili “mazzette”. Mentre ormai tutti gli amici, in attesa con lui, ne chiedono notizie, pronti a festeggiarne l’arrivo con una grande cena, più grande delle solite, più affollata di sempre. E che arriverà con l’arrivo del farmaco, dopo tre anni. Delicato happy end che commuove e fa sorridere, in un film che parla di vita più che di malattia, nonostante la metta in scena con pudore e rispetto. Che della vita, insomma, racconta la capacità di reinventarla di fronte all’arrivo di un qualunque “ospite inatteso”.

È una storia di resistenza La cena di Toni, l’avevamo detto. Ed ora che il mondo è cambiato, che il Covid ci ha imposto la perdita della socialità, degli abbracci, della vicinanza e pure semplicemente le cene numerose, questa di Toni con i suoi amici arriva a commuoverci più in profondità. Consapevoli che ora la sua resistenza sarà ancora più dura. E che in questi tempi di confinamenti ed isolamento la sua storia ci riguarda ancora più da vicino.