La dittatura del genere. Nel paese dove tutto è “Normal” il fortunato esordio di Adele Tulli su RaiPlay
Dal 10 agosto su RaiPlay “Normal” fortunato esordio di Adele Tulli che a giorni presenterà a Locarno il suo nuovo film, “Real”. Un documentario sugli stereotipi di genere in Italia oggi, sulle regole imposte. Un’associazione di immagini che forma un senso: mamme fanno ginnastica prenatale, genitori che proiettano il proprio ego sui figli, una fabbrica di bambole col ferro da stiro, e infine un matrimonio gay. Presentato alla Berlinale e premiato come miglior doc al Lovers Filmfest e a “Visionarie” 2019. Produzione FilmAffair con Aamod …
Normal contiene norma, ovvero la regola. Una sorta di legge stabilita dagli usi di un tempo e luogo, talvolta così radicata da sembrare immutabile, spesso psicologicamente imposta ma – questo il bello – che si può mettere in discussione: lo fanno in Italia eventi come l’Hacker Porn Film Festival (sottotitolo: No gender No border), la rassegna di cinema queer, post-porno, kinky, weird e alieno che si svolge a Roma al Trenta Formiche. Lo fa lo storico appuntamento del cinema Lgbt a Torino, il Lovers Film Festival, che lo ha premiato Normal di Adele Tulli come miglior documentario dopo la presentazione all’ultima Berlinale. Il film dal 10 agosto è su RaiPlay.
Il “normale” del titolo qui non è certo uno statuto, ma il punto di origine per una riflessione: che parte con la ginnastica prenatale di donne incinte in piscina e continua con madri e padri che proiettano il proprio ego sui loro figli, una bambina piccolissima “costretta” a farsi il buco per l’orecchino e un bimbo su una moto da rally selvaggiamente incitato dal papà. Genitori di figli tutti bellissimi e bravissimi, novelli little miss sunshine, o possibili protagonisti del grande romanzo di Joyce Carol Oates su una bambina prodigio: Sorella, mio unico amore. Padri e madri che ignorano il celebre monito di Sant’Ignazio: “Non approfittate della giovane età”.
Tutto questo, però, germoglia o meno nelle nostre menti: Adele Tulli non lo dice mai. Normal è un percorso tra le dinamiche di genere in Italia oggi che funziona non per spiegazione, ma per associazione: attraverso l’accostamento di scene diverse tra loro si forma gradualmente un senso praticabile, che non viene enunciato dalla regista ma è affidato alla ricostruzione di chi guarda, alla sua scelta di orientamento.
Ecco allora scorrere una fabbrica di bambole (che includono rigorosamente un ferro da stiro), giovani incollati a videogame di terrorismo, insieme a pillole di quotidiano più “normali”: ragazzi che riflettono sul metodo per rimorchiare le ragazze come fosse una lezione, donne in un solarium, matrimoni e corsi prematrimoniali in chiesa. Le selezioni di Miss Mondo e un addio al celibato. Infine, significativamente, un’unione civile tra due ragazzi gay. Ancora dopo, in chiusura, tornano le mamme che fanno ginnastica, ma stavolta hanno partorito e tengono in braccio i figli neonati.
Il cinema della regista trentasettenne è intelligente perché si limita a mostrare, senza voce fuori campo, intavolando un discorso basato solo sull’immagine: se – come dice Wiseman – il montaggio di un documentario è sempre politico, diviene presto chiara la posizione dell’autrice e in tal senso la ripresa dell’unione civile si offre come atto etico. Ma non è una posizione ingombrante: lo sport delle mamme di fatto non suona peggiore dei due ragazzi che si sposano, fanno parte della stessa riflessione.
C’è dentro il concetto di genere. Il maschile e il femminile, cosa l’appartenenza impone. Lo stereotipo dei “bravi bambini”. E anche tracce semplici: ragazzi che conquistano ragazze, le quali devono essere belle, e non viceversa. Il provino meccanico delle modelle, mai inquadrate in volto, lo attesta. Ma lo stesso luogo comune sta, paradossalmente, nel numero di magia della ragazza tagliata in due: a segare è sempre un uomo, a venire tagliata sempre una donna. La dittatura di genere si insinua a passo sottile, qui e ora, per interposte immagini, che si fanno ancora più significative in un certo contesto, in un Paese che soffre la norma in modo particolare.
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