“Babylon Sisters”, se la favola multietnica diventa un cine-manifesto

In sala dal 28 settembre (per Lo Scrittoio), “Babylon Sisters” di Gigi Roccati, ispirato al romanzo della scrittrice indiana Laila Wadia. Una favola multirazziale al femminile, sulla ricchezza del multiculturalismo e della solidarietà tra ultimi. Tanta retorica e poco ritmo, per un piccolo film nato dalle più buone intenzioni…

 

Una favola multietnica al femminile coi colori di Bollywood. Tra attori professionisti e non. Tra periferia degradata e i versi di Ungaretti che, in questo caso, è pure la via del vecchio palazzo fatiscente, ai margini di Trieste, dove si svolge l’azione. Ossia la nascita di un’amicizia interrazziale, a mo’ di manifesto di solidarietà tra ultimi…

È questo il succo, e il limite stesso, di Babylon Sisters, prima incursione nel cinema di finzione per Gigi Roccati, documentarista – viaggiatore (dalla Cina all’Afghanistan, da Cuba al Medioriente) che, in questo caso, ha scelto di fondere la sua esperienza del reale con le pagine scritte – e anch’esse prese dalla realtà – di Laila Wadia, scrittrice di origini indiane che vive a Trieste dall’86, tra le prime ad aver usato la lingua italiana per raccontare il suo mondo multietnico, soprattutto dalla parte delle donne.

È il suo romanzo Amiche per la pelle (e/o edizioni, 2007), infatti, a fare da traccia a Babylon Sisters, dove è un gruppo di donne migranti (una cinese, una indiana, una turca, una croata) con le loro famiglie il motore della storia. Quella che ci racconta Kamla, ragazzina indiana che nel palazzo fatiscente triestino si è trasferita da poco con mamma e papà (quello vero). Seguendo le sue giornate scopriamo i vari abitanti, ma soprattutto il professor Leone (un sempre grande Renato Carpentieri), un vecchio burbero (ovviamente di buon cuore) che urla dietro a tutti gli abitanti dell’edificio apostrofandoli “negri!”.

Il vero nemico però non è certo lui che, anzi, si aprirà nei confronti di Kamla, soprattutto, aiutandola nei suoi compiti e nella vita, ma piuttosto il proprietario del palazzo, giovane rampante e senza scrupoli che incassa gli affitti al nero e minaccia di sfratto gli inquilini.

Sarà una scuola di danza, capitanata dalla mamma di Kamla a salvare la situazione e a dare la svolta “Bollywood” al finale del film. Che non basta però a riscattarlo da una narrazione debole, senza ritmo, scontata e, soprattutto, piena di retorica, nonostante le buone intenzioni di partenza.

Brava la piccola Kamla col volto di Amber Dutta, finalista di Italian’s Got Talent. E divertenti i cori degli anziani
dell’associazione “Rena Trieste Vecia”.