Ritratto di famiglia di Luigi Nono. Il (grande) musicista che scendeva in piazza
Domenica 5 maggio (ore 11) al cinema Nuovo Sacher di Roma, “I film di famiglia” di Serena Nono che, attraverso il repertorio d’archivio, dipinge il ritratto intimo e pubblico di suo padre: Luigi Nono, tra i compositori che hanno segnato la musica del ‘900. L’impegno politico, la militanza comunista. Fotogrammi in bianco e nero ma che sembrano coloratissimi e che stordiscono per l’impatto di pensiero e creatività. Una riflessione sul ruolo di artisti e intellettuali che, come Nono, non si chiudevano nella torre d’avorio ma scendevano in piazza. Da vedere …
Al di là del fascino di scoprire il Luigi Nono più intimo – quello che si ritrova nei filmini di famiglia che la figlia Serena ha assemblato con intelligente fisionomia sia artistica che umana in un docufilm -, il ritratto che ne sbalza fuori provoca riflessioni necessarie sul ruolo che gli artisti e gli intellettuali ebbero nella società italiana fra gli anni Sessanta e i Settanta e quello che hanno (?) oggi.
Il lavoro di compositore per Nono fu inscindibile dall’impegno politico. Fare musica – affermava – “è il modo di intervenire nella società, come intervento nella lotta, nella cultura da parte del musicista che è un uomo del proprio tempo e partecipa ai drammi del proprio tempo”. E questo conservando la propria identità di artista nonostante i differenti punti di vista e i tentativi di “smistamento” su altre estetiche.
Lo racconta lui stesso, a proposito della sua iscrizione al Pci nel 1952, quando ancora bisognava presentarsi e motivare la decisione di questa scelta. All’epoca l’orientamento del Pci in ambito artistico corteggiava il realismo socialista, ma Nono tenne fermo il punto: era un musicista e come tale avrebbe continuato a proseguire sul sentiero da lui scelto della dodecafonia.
Era più che un frequentatore di casa Schoenberg, del resto, avendone sposato la figlia Nuria. Il docufilm parte proprio da quei fotogrammi di intimità fra Nono e la moglie, giovani, spensierati, scherzosi che giocano con figurine di carta e danze e collane.
Sullo sfondo, onnipresente, una Venezia ancora non ridotta a patinata caricatura di se stessa. Paesaggio di famiglia (è la città dove Nono è nato nel 1924 e morto nel 1990) e approdo ricorrente tra viaggi che lo portavano dai dibattiti musicali a Darmstadt ai “pellegrinaggi” a Cuba, Perù, Berlino est, Mosca negli anni caldi del comunismo, spesso accompagnato da Nuria e dalle bambine, Silvia e Serena.
La parabola che viene tracciata da I film di famiglia – una selezione delle pellicole conservate in archivio tra il 1959 e il 1974 – è un racconto calibrato tra intimità privata e contatti sociali. Un continuo rimando fra arte e vita, le composizioni dedicate alla prima figlia, Silvia, su un testo di Machado sulla primavera, tutto allegria e fiori bianchi, quello per Bastiana (Serena) nel 1967 che prende spunto dal canto L’oriente è rosso.
E quelle “combattenti” come La fabbrica illuminata sulle condizioni degli operai, discussa con loro, attingendo suoni e rumori dalla fabbrica stessa. La collaborazione con il Living Theatre – con un’America riecheggiata nel doc attraverso i frammenti delle conversazioni con Julian Beck e Judith Malina a immagini di Disneyland – che sfocerà in A floresta é jovem e cheia de vida, composizione di protesta contro la guerra in Vietnam, della quale Nono amava ricordare che fu poi trasmessa da alcune radio clandestine ai guerriglieri nell’America Latina.
Il lavoro accanto a Liubimov prima al Teatro Taganka di Mosca e poi a Venezia con Al gran sole carico d’amore. È un tipo di teatro che lo aveva attratto – spiegava Nono – perché implicava “una nuova concezione del dinamismo temporale, del dinamismo ideale, del dinamismo episodico, anche nel vario rapporto tra di loro”.
Sono anni intensi, poco più di un paio di lustri, ripercorsi da fotogrammi in bianco e nero ma che sembrano coloratissimi e che stordiscono per l’impatto di pensiero e di creatività. Per un impegno che non viene mai meno. Per il fare di un artista che non si sente in una torre d’avorio, ma scende in piazza. Tra le parole di Luigi Berlinguer e una festa dell’Unità a Venezia, la musica degli Inti Illimani, i poster del Che. Bagliori di un’epoca in cui ci si credeva e si faceva. Davvero.
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