“Kuessipan”: orgoglio senza pregiudizio. Viaggio al femminile tra i nativi del Québec
Anteprima italiana alle “Giornate del cinema quebecchese in Italia” (il 6 marzo a Torino) di “Kuessipan” della canadese Myriam Verrault ispirato all’omonimo romanzo di Naomi Fontaine (inedito in Italia) dedicato alla condizione degli Innu, nativi nel Nord-Est del Québec. Una storia di amicizia e ricerca dell’identità femminile, dove parole (orgoglio e libertà, per esempio) e temi dell’opera letteraria si intrecciano con una messa in scena radicale calata nel contesto delle riserve. Con interpreti non professionisti, tra cui spiccano le due protagoniste. La rassegna proseguirà a Bologna (9/3), Roma (13/3) e Benevento (11/3)…
In un momento storico dove la prossimità è scoraggiata (persino) come norma igienicamente a rischio, un antidoto prezioso è Kuessipan, film di incontri e legami tra persone, culture, linguaggi, in proiezione il 6 marzo al Museo del Cinema di Torino per le Giornate del cinema quebecchese in Italia (17a edizione).
Un film che, non a caso, ha la sua origine (e forza) nello scambio tra quattro donne: la regista Myriam Verrault, la scrittrice Naomi Fontaine (dal cui romanzo del 2011, best-seller in Canada, è tratto il lungometraggio) e le due attrici protagoniste, Sharon Fontaine-Ispatao e Yamie Grégoire.
Il termine del titolo, nella lingua degli Innu, minoranza indigena nel Nord-Est del Québec, indica un passaggio di consegne. E rimanda qui, anzitutto, al processo creativo dall’opera letteraria al film. Ovvero, dalla «collezione di voci» (così l’autrice definisce il suo libro) alla singola vicenda che scrittrice e regista (anche sceneggiatrici dell’adattamento) hanno ricavato, condensando la polifonia delle pagine.
Non un semplice passaggio da un mezzo all’altro, dunque, ma il frutto di un’inte(g)razione umana e artistica fondata sull’intento di offrire una rappresentazione non banalizzante della comunità cui appartiene la stessa Fontaine. Non per nulla, allora, ci troviamo di fronte a un film dove, per dirla con Nanni Moretti, le parole sono (molto) importanti.
Lo sono, anzitutto, per le due giovani donne al centro del film, Mikuan (Sharon Fontaine-Ispatao) e Shaniss (Yamie Grégoire): l’una nitsheuan (“amica”), anzi addirittura neshim (“sorella”) dell’altra, tanto è profondo il vincolo che le unisce dall’infanzia, pur nelle differenze. Ma il divario si allarga quando Mikuan conosce il “bianco” Francis (Étienne Galloy), in compagnia del quale la ragazza avverte sempre più limitato e limitante lo spazio della riserva innu, ai margini di Québec-City.
La crisi del rapporto tra le due amiche, allora, diventa anche (e soprattutto) la crisi del rapporto di Mikuan con la propria cultura, che la giovane non intende rinnegare, semmai rinegoziare all’insegna dell’equilibrio (difficile) tra altre due parole: «orgoglio» (delle proprie radici, non ancora immuni da prevaricazioni e discriminazioni della maggioranza) e «libertà» (che non ha un corrispettivo nella lingua innu).
A legare circolarmente la vicenda, incorniciandone alcuni dei momenti più intensi e rivelativi, un (altro) filo di parole: quelle della voce over di Mikuan (aspirante scrittrice), riprese dal romanzo della Fontaine in un’ulteriore contaminazione tra testo letterario e filmico. Parole che si spingono fino al loro limite strutturale, quello dei silenzi in cui si rapprende il film («Vorrei scrivere il silenzio», dice Mikuan-Fontaine).
Su (e da) questo tessuto di parole (e silenzi) lavora Myriam Verrault, forte dei trascorsi documentaristici (Ma tribu c’est ma vie, Québékoisie) e della sensibilità nell’inquadrare la società quebecchese attraverso la lente dell’adolescenza (il suo esordio con À l’ouest de Pluton).
Per Kuessipan la regista procede a un’immersione radicale (iniziata nel 2012) tra la gente di cui si racconta. Ne emerge un alfabeto ulteriore, di immagini e suoni, tra la musica intim(istic)amente elettronica di Louis-Jean Cormier e le inquadrature dove sono protagonisti i luoghi della riserva, in cui «non ti puoi perdere, perché è troppo piccola», tra la spiaggia e la distesa di neve che la ricopre per sei mesi.
Soprattutto, però, la poesia (audio)visiva della Verrault poggia sui corpi, e in particolare sui volti di personaggi e attori (non professionisti). Da questa umanità seguita e interrogata più (e prima) che messa in scena arrivano momenti ora teneri ora dolorosi di verità, dove ognuno è esplorato nelle sue (contraddittorie) sfumature: ma dove le presenze femminili, principali e secondarie, risaltano su figure maschili spesso incoerenti quando non (auto)distruttive.
Su tutte e tutti, si imprimono nella memoria i volti delle due protagoniste, alternativa (est)etica a un cinema (e non solo) degli stereotipi di ogni genere ed etnia, poli opposti e complementari di un’identità femminile plurale in grado di proiettarsi oltre ogni barriera.
Emanuele Bucci
Libero scrittore, autore del romanzo "I Peccatori" (2015), divulgatore di cinema, letteratura e altra creatività.
14 Dicembre 2015
Dieci romanzi per dieci film, al femminile
Da Truffaut a Audiard, da A Dangerous Method a Miele, esce in libreria una…
7 Marzo 2016
Doc al femminile con Doc/it
L'associazione dei documentaristi italiani annuncia il Doc/it Women Award, un…
12 Maggio 2020
Al di là del bene e del male. L’infanzia secondo Agota Kristof
Con una prosa che ha "l'andatura di una marionetta omicida" ecco "Il grande…