I libri dei malati seriali (e recidivi). Tutti i titoli letterari tra storia, distopie e femminismi

Il primo volume è del 2018. Il seguito è  “100 serie TV in pillole – Stagione 2 – Manuale per malati seriali recidivi” (Multiplayer Edizioni, 2020). Come due Bignami della serialità, di cui vi proponiamo una scelta delle serie di derivazione letteraria. Dai titoloni come  “House of Cards” alla più dissacrante e femminista, “Fleabag” della strepitosa attrice e drammaturga britannica Phoebe Waller-Bridge. Un lungo itinerario attraverso gli ultimi vent’anni della produzione seriale televisiva …

 

In questi lunghi mesi di reclusione, le serie tv sono state una cura e una compagnia per molti di noi. Per questo, Luca Liguori, Antonio Cuomo e Giuseppe Grossi hanno deciso di aggiornare e proseguire il lavoro avviato con 100 serie TV in pillole – Manuale per malati seriali (Multiplayer Edizioni, 2018), pubblicando un secondo volume, quasi fosse una seconda puntata, o meglio, una “seconda stagione” (100 serie TV in pillole – Stagione 2 – Manuale per malati seriali recidivi, Multiplayer Edizioni, 2020). Come dottori esperti del mestiere, gli autori prescrivono nelle pagine dei due libri le serie consigliate a seconda dell’umore, corredando alla ricetta un “foglietto illustrativo” che indica in che modo usufruirne e i possibili “effetti collaterali”.

Nel colossale sforzo di sintesi, dedicato a racchiudere in qualche centinaio di pagine la storia della serialità degli ultimi trent’anni, un grandissimo spazio riesce a ritagliarsi la letteratura, a partire da quella americana.

Tratta dal romanzo neo-mitologico di Neil Gaiman, American Gods (Mondadori, 2003), l’omonima e conturbante serie (2017) ideata da Bryan Fuller e Michael Green, racconta di un’ America mitizzata da secoli, in cui antiche religioni si mescolano a nuovi idoli: la Tecnologia e i Media. Uno spietato ritratto del mondo politico statunitense è invece House of Cards (2013), diretta da David Fincher, in cui il machiavellico e manipolatore personaggio interpretato da Kevin Spacey trae ispirazione dal libro di Michael Dobbs (Fazi Editore, 2014).

Un altro volto dell’America è quello di Californication (2007), creata da Tom Kapinos, in cui il protagonista Hank Moody è quasi una perfetta reincarnazione di Charles Bukowski, che si aggira per Los Angeles perseguitato da uno spirito autodistruttivo e alla ricerca continua dell’eccesso. In California prende vita anche l’universo tutto femminile di Big little lies (2017) – ideata da David E. Kelley e tratta da Piccole grandi bugie di Liane Moriarty (Mondadori, 2017) –, dove tre madri dell’alta borghesia si ritrovano in un groviglio di enigmi, sesso e violenza.

Dalla West Coast, si giunge infine a New York, dove le quattro amiche di Sex and the City (1998) – concepita da Darren Star, a partire dall’omonimo libro di Candace Bushnell (Mondadori, 2016) – hanno rivoluzionato la rappresentazione della donna sul piccolo schermo, finalmente padrona del proprio destino, e non più dipendente dal desiderio dell’uomo.

Dopo vent’anni, il nuovo femminismo è però incarnato da Fleabag (2016), diretto e interpretato da Phoebe Waller-Bridge, a partire dall’omonimo monologo da lei scritto per il teatro nel 2013: la brillante attrice britannica che, piena di humour, ci rende partecipi dei suoi drammi guardando dritto in camera, è anche autrice di Killing Eve (2018) – ispirata a una serie di racconti di Luke Jennings (Mondadori, 2018) –, che mescola insieme gli elementi tipici della storia d’amore, con quelli del thriller e della spy story.

Altri ritratti di donne, questa volta dietro le sbarre di un carcere, vengono offerti dalle tragiche storie delle protagoniste di Orange is the new black (2013) – dal libro biografico di Piper Kerman (Rizzoli, 2014), alla cui regia ha partecipato anche Jodie Foster –, che tratta con grande efficacia dalla misoginia all’integrazione razziale, alla sessualità.

Innumerevoli sono poi le serie poliziesche citate: da Dexter (2006) – ideata da James Manos e ispirata alla saga di Jeff Lindsay dedicata all’omonimo personaggio (Mondadori) – che racconta con ambiguità le vicende di un tecnico della scientifica, che sotto un’apparenza pacata cela l’inquietante animo da serial killer, alla cupa e perversa Mindhunter (2017) – diretta in gran parte, ancora una volta, da David Fincher –, tratta da un testo di John E. Douglas e Mark Olshaker (Longanesi, 2017), incentrato sullo studio del comportamento degli assassini, a partire da casi realmente accaduti.

Se Sharp Objects (2018), diretta da Jean-Marc Vallée a partire dal romanzo Sulla pelle di Gillian Flynn (Piemme, 2008), è un giallo che accompagna nelle profondità più recondite della tormentata protagonista che segue le indagini, abbondano anche serie dello stesso genere più “edificanti”, in cui il bene, nonostante tutto trionfa sul male. Ne sono un esempio Sherlock (2010), adattamento in chiave contemporanea dalle opere di Arthur Conan Doyle, creata da Steven Moffat e Mark Gatiss, o il nostrano Il commissario Montalbano (1999), nato dalla penna di Andrea Camilleri (Sellerio), ormai conosciuto dal grande pubblico con il volto di Luca Zingaretti (e di Michele Riondino, nella versione “giovane”).

Per quel che riguarda le produzioni italiane, non possono mancare i riferimenti a Romanzo criminale (2008) – diretta da Stefano Sollima – e Suburra (2017) – ideata da Daniele Cesarano –, dagli omonimi romanzi di Giancarlo De Cataldo (Einaudi, 2002 e 2013), che raccontano rispettivamente le vicende della banda della Magliana, e la criminalità romana legata all’assegnazione degli appalti per la costruzione di un Porto Turistico nella zona di Ostia.

Spostandosi dalla Capitale a Napoli, gli autori analizzano poi due titoli di grande risonanza internazionale: Gomorra (2014), dal celebre romanzo di Roberto Saviano (Mondadori, 2016), sulle guerre intestine alle organizzazioni camorristiche, e L’amica geniale (2018)– dalla saga di Elena Ferrante (E/O), diretta da Saverio Costanzo e Alice Rohrwacher – sull’amicizia di due ragazzine cresciute nello stesso rione di Napoli durante gli anni ’50, costrette poi a intraprendere percorsi diversi.

Un capitolo a parte, poi, meritano le serie a sfondo storico: se Band of Brothers (2001) – prodotta da Steven Spielberg e Tom Hanks, e tratta dal bestseller di Stephen E. Ambrose (Banda di fratelli, TEA, 2010) – ripercorre gli orrori della Seconda Guerra Mondiale attraverso gli occhi dei soldati che l’hanno combattuta, L’uomo nell’alto castello (2015) – ideata da Frank Spotnitz, a partire dal romanzo ucronico La svastica sul sole di Philip K. Dick (Fanucci, 2015) – immagina un esito differente del Conflitto, con un’America sconfitta e divisa tra Germania e Giappone. Drammaticamente reali sono invece i fatti raccontati in Chernobyl (2019), la miniserie sceneggiata da Craig Mazin e diretta da Johan Renck, ispirata a Chernobyl 01:23:40 di Andrew Leatherbarrow (Salani, 2019), che riporta cinque anni di ricerca su quel che accadde nella centrale nucleare della città ucraina.

Fortunatamente, ancora distopica è la società dipinta da Margaret Atwood ne Il racconto dell’ancella (Ponte alle Grazie, 2017), dal quale è tratta The Handmaid’s tale (2017) – ideata da Bruce Miller –, i cui costumi hanno ispirato alcune battaglie per l’aborto e nel contesto di MeToo: in un mondo in cui il tasso di natalità è drasticamente crollato, alcune donne fertili vengono “elette” e segregate per adempiere alle finalità riproduttive.

Storie di abuso e di violenza sono anche Tredici (2017), creata da Brian Yorkey e basata sull’omonimo romanzo di Jay Asher (Mondadori, 2017) che ricostruisce le ferite insanabili che spingono la giovane protagonista al suicidio, e Unbelievable (2019) di Susannah Grant, tratta da A false report di T. Christian Miller e Ken Armstrong, che ripercorre la vera storia di una ragazza stuprata in casa da uno sconosciuto, e che non viene creduta per mancanza di prove.

L’immaginario di Stephen King fa irruzione nella serie antologica Castle Rock (2018) – scritta da Sam Shaw e Dustin Thomason –, ispirata all’intera produzione dello scrittore americano, oltre che in The outsider (2020), creata da Richard Price e basata sul suo omonimo romanzo (Sperling & Kupfer, 2018), in cui un poliziotto e un’investigatrice indagano sul misterioso caso di un ragazzo undicenne ucciso e orribilmente mutilato.

Shakespeare è invece il protagonista di Sons of Anarchy (2008), ideata da Kurt Sutter, che tra polverose avventure on the road, nasconde in realtà una rilettura contemporanea di Amleto (Mondadori, 2017), che rivela il “marcio” di uomini disposti a tutto pur di mantenere il potere.

Una grande celebrazione della letteratura inglese, è infine, quella contenuta in Penny dreadful (2014) – sceneggiata da John Logan –, il cui titolo riprende il nome delle pubblicazioni periodiche che intrattenevano i lettori della Londra vittoriana, dai contenuti macabri e con illustrazioni che ne costellavano le pagine: la serie, che vede protagonista Eva Green nel ruolo di una medium, mescola il thriller all’horror, la riflessione poetica alla tensione erotica, e contiene evidenti riferimenti a Dracula di Bram Stoker (Feltrinelli, 2015), a Frankenstein di Mary Shelley (Barbera, 2010), ad Oscar Wilde, a Robert Luis Stevenson e a John Milton, oltre alla grande poesia romantica dell’Ottocento.

L’accurata analisi degli autori dei due manuali, dimostra dunque, in controluce, quanto la serialità abbia attinto in questi anni alle opere letterarie più disparate, e quanto, forse, anche la letteratura possa essere un’utile “pillola” curativa. Da assumere senza controindicazioni.