Quei suoi racconti così amati dal cinema. La scomparsa di Alice Munro
Nella notte tra il 13 e il 14 maggio è morta Alice Munro, amatissima autrice canadese di 92 anni. Una scrittrice atipica e umile, che rifiutò sempre di scrivere un romanzo in favore dei racconti, con cui divenne famosissima e per i quali vinse il Nobel nel 2013. Dalle sue storie Pedro Almodóvar ha tratto “Julieta” e Sarah Polley “Lontano da lei”…
La vita di Alice Munro, per chi ne ha amato i racconti, è tutt’altro che un mistero. In molte storie l’autrice si è messa a nudo, raccontando i fatti più dolorosi della sua vita, così come quelli di rinascita emotiva. Ed è forse anche per questo che di fronte alla sua morte, avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 maggio a 92 anni, aleggia quello strano senso di vicinanza nella tristezza verso qualcuno che non si è conosciuto.
Gli ultimi anni Munro li aveva passati lontano dai riflettori, in mezzo ai quali si era trovata certo non per caso, ma neppure con l’agio che certe volte tradisce l’arroganza di alcuni autori di successo. Si era allontanata anche in virtù di quel tacito patto di sincerità coi suoi lettori, di preminenza della propria vita sul proprio mestiere, un aspetto in cui quando è spesso difficile delineare confini se il mestiere è scrivere. I motivi dell’allontanamento erano noti: un cancro prima e la demenza senile poi.
La sua ultima raccolta rimarrà, ironia della sorte, Uscirne vivi, per cui Einaudi, che ha pubblicato la sua opera omnia, scelse di deviare dal titolo originale Dear Life (”cara vita”). Era il 2012, un anno più tardi l’Accademia Svedese la insignì del Nobel, ma non lasciò che il premio cambiasse la sua scelta di non pubblicare più. Per Munro, la scrittura era un gesto intimo, personale, emotivo: non poteva esser compiuto senza convinzione o cognizione.
Il suo talento nella scrittura era emerso già ai tempi dell’università, pubblicando sul giornale accademico. Quella parte della sua vita, dalla nascita nel 1931 alla laurea, la passò tutta in Ontario. Veniva da una famiglia semplice, di cui avrebbe spesso scritto raccontandone anche gli aspetti più dolorosi, come il Parkinson di sua madre. E da lì si mosse proprio a partire dall’università dove conobbe il suo primo marito Jim, che lasciò un segno indelebile anche per i futuri lettori: il cognome, mai cambiato.
I due si separarono, ma non prima di aver aperto un piccolo negozietto di libri a Victoria, in British Columbia, nel 1963. Un luogo che oggi non gestiscono più e ha cambiato più volte indirizzo, finendo poi per occupare i locali di una vecchia banca, ma che è rimasto nel cuore dei suoi lettori come meta di pellegrinaggio.
Fu pochi anni più tardi della fondazione della Munro’s Books, questo il nome della libreria, nel 1968, che apparve in libreria la sua prima raccolta di racconti. Rubava il nome a un balletto dell’Orfeo ed Euridice di Gluck, Danza delle ombre felici e la rivelò immediatamente come una scrittrice di grande spessore agli occhi della critica canadese. Di lì in poi furono solo grandi successi, consolidati internazionalmente negli anni ‘80 fino al ritiro dalle scene.
Su di lei ha aleggiato sempre, per negazione, la parola romanzo. Non ne ha scritti mai, nel senso ortodosso del termine, solo racconti. All’inizio, disse, fu per l’umiltà di non sentirsi capace a reggere quella impalcatura narrativa. La realtà ci dice però he alcune delle sue raccolte, specie La vita delle ragazze e delle donne, sono costruite con storie intrecciate tra loro, non troppo lontane dai capitoli di un romanzo corale. Ma quel rifiuto della forma più canonica ha sempre contribuito a renderla una scrittrice atipica, con una sua traiettoria del tutto personale.
D’altronde le sue pagine sono dense di una capacità rara nell’identificare e descrivere le emozioni più complesse. Quasi come se del romanzo che non ha mai scritto avesse trasferito e condensato l’intenzione e l’intensità nelle poche pagine dei racconti. Anche per questo quando si parla di Munro si parla di una scrittrice che al racconto ha dato una luce diversa, nuova, contemporanea. La sua è stata una “geografia” rinnovata per le storie brevi.
Al cinema, la sua penna ha dato moltissimo. Almodóvar scelse non uno ma tre dei racconti di Munro per tornare a immergersi nell’universo femminile; il suo Julieta, fu presentato a Cannes nel 2016. Con minor fortuna c’erano stati prima di lui un paio di adattamenti in Canada e Hateship, Loveship di Liza Johnson, nel 2001. Ma forse nel cuore del pubblico il più amato rimarrà Lontano da lei in cui nel 2006 Sarah Polley adattò il toccante racconto L’orso attraversò la montagna, in cui una coppia è travolta dal vortice terribile dell’Alzheimer.
Viviamo tempi in cui l’attenzione scema rapidamente e per le generazioni rampanti sembra sempre più impensabile perdersi in romanzi lunghi e complessi. Allora, forse, nei prossimi anni ci sarà da ringraziare ancora di più le raccolte di Alice Munro, le sue storie minime ma complete. Può darsi che in un futuro molto prossimo insegneranno cosa vuol dire scrivere, e anche leggere, più di quanto immaginiamo.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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