Quello che la fotografia e il cinema possono raccontare. Le lotte separatiste corse dal libro di Jérôme Ferrari

Passato alla Quinzaine des cinéastes, “À son image” del regista corso Thierry de Peretti dall’omonimo romanzo (in Italia per e/o) dello scrittore Jérôme Ferrari. Le lotte del fronte separatista corso degli anni ’80 e ’90, poi gli attentati e gli omicidi, ma anche la violenza della repressione della Francia. Li racconta l’obiettivo di una giovane fotografa innamorata di uno dei leader del movimento nazionalista. Una riflessione sulla Storia, ma anche sul valore di testimonianza della fotografia, della rappresentazione della realtà, della ricerca dell’immagine giusta …

Non c’è nulla di paragonabile nella storia politica italiana. Tantomeno la stagione del terrorismo. Anche se alla fine a quella stessa violenza si è arrivati. Segnando la fine dell’utopia, tagliando fuori l’entusiasmo condiviso degli inizi, del cosiddetto “Riacquistu”, fermento culturale che, negli anni Settanta, poneva le basi per una riscoperta delle tradizioni popolari ed identitarie della Corsica, anche nella musica (come per il Nuovo Canzoniere Italiano e i Dischi del Sole da noi).

Parliamo degli anni delle battaglie, e poi della violenza e degli attentati dei separatisti corsi, ma anche della durissima repressione dello stato Francese, raccontati in un piccolo film importante, presentato alla Quinzaine des cinéastes: À son image firmato dal regista corso Thierry de Peretti che a questi temi ha dedicato anche il precedente Une vie violente.

Stavolta però la fonte è l’omonimo romanzo di uno scrittore, premiatissimo oltralpe e ben noto anche in Italia (tradotto da e/o), Jérôme Ferrari. Un autore, corso di origini, docente di filosofia e storico che in quella sua isola ha ambientato tutti i suoi romanzi (Balco Atlantico, Il sermone sulla caduta di Roma, Un dio animale) con  la crisi e il declino del colonialismo francese alle spalle e la riflessione sulle menzogne morali sottese ad ogni conflitto. Di cui, proprio in questi giorni, assistiamo in Nuova Caledonia.

A sua immagine (titolo italiano del romanzo del 2020) è dunque di nuovo Corsica, dove Ferrari intreccia una storia d’amore, di morte e di lotta appassionante che il regista mette in scena a sua volta, con molte sfumature, spostando l’accento sul valore di testimonianza della fotografia, della rappresentazione della realtà, della ricerca dell’immagine giusta.

Protagonista è una giovane fotoreporter, Antonia (Clara-Maria Laredo) innamorata di un giovane e carismatico nazionalista, Pascal (Louis Starace). I suoi scatti in principio sono tutti per lui. E non si fa domande. Ma quando il fidanzato abbraccerà definitivamente la lotta armata del FLNC (Fronte di Liberazione Nazionale Corso) e i suoi arresti si faranno più frequenti, Antonia capirà che la sua strada, la sua professione in cui cerca di proseguire, dovranno portarla altrove.

Perché il racconto di quella stessa storia cambierà davanti ai suoi occhi. Non più l’immagine di un sogno di speranza collettivo (manifestazioni, concerti, annunci) che Antonia racconta da cronista coi suoi scatti, ma alla fine solo cadaveri agli angoli delle strade e delle mascherate crudeli. Il funerale di Pascal col gruppo di militanti FLNC, volto coperto, assetto da guerra e fucili imbracciati, intorno alla bara davanti al sagrato della chiesa sono l’immagine, non fotografata, del punto di non ritorno.

À son image in questo senso è un tassello prezioso per una riflessione ulteriore su una pagina di storia che, nonostante il recente voto per l’attuazione dello statuto di autonomia, non si può dire certo conclusa. Il cinema, insomma, non potrà cambiare il mondo, ma almeno può raccontarlo dalla parte giusta.