“Á la recherche” di Giulio Base e il tempo perduto per lo spettatore. Arriva su RaiPlay

Fresco di Nastro d’argento speciale 2024 arriva su RaiPlay “Á la recherche” di Giulio Base, che immagina un’improbabile coppia di protagonisti lanciati nella donchisciottesca impresa di adattare Marcel Proust per Luchino Visconti. Il risultato non rende onore a nessuno, spettatore compreso, e sembra ricordarci quel vecchio dibattito di “Sogni d’oro“. Presentato alla Festa di Roma e già uscito al cinema …

Morettiani e non ricorderanno senz’altro il passaggio di Sogni d’oro in cui il giovane regista Michele Apicella si confrontava con un collega in un surreale dibattito tematico su cinema, società, cultura, politica. Ecco, se levassimo il pubblico e sostituissimo i due concorrenti con una femme fatale parigina e un pressoché fallito sceneggiatore molisano otterremmo Á la recherche, nuovo film di Giulio Base passato alla Festa del Cinema di Roma ed ora disponibile su RaiPlay.

Farsi precedere di quarant’anni dalla parodia è talento non comune (forse per buone ragioni), ma il film di Base riesce alla perfezione. A questa coppia al limite della commedia più facile, il regista affida nientemeno che il compito di adattare per lo schermo la Recherche di Proust, così da proporre poi il tutto a Visconti, da anni interessato a farne una versione cinematografica. Vivadio, siamo perlomeno dispensati dal sentirne il risultato.

La sceneggiatura su cui lavorano entra appena nei discorsi, che sono a tutti gli effetti un’accozzaglia di vaneggiamenti sugli argomenti più disparati: dal PCI al cinema, dalla letteratura alla seduzione. Risultato: una lectio molto più modestis che magistralis, fatta di aneddoti scialbi e ironia mal riuscita, nonché discutibile analisi sul momento storico in cui ci troviamo (il 1974).

Rimaniamo inchiodati per tutti i novanta minuti nella villetta romana di lei, dove i due in teoria dovrebbero scrivere ma, come sappiamo, preferiscono disquisire. Altri personaggi che ci salvino o ci concedano quantomeno di rifiatare da questo ping pong non pervengono, l’assurda coppia è il centro nevralgico di tutto il film. Il tutto condito da una chimica di modesta estrazione tra i due interpreti, Anne Parillaud con lo stesso Giulio Base, e aggravato dal francese macchinoso di lui.

In un’epoca in cui siamo alla ricerca di fonti di energia alternativa ci sembra doveroso suggerire l’applicazione di un reattore che sfrutti l’energia cinetica prodotta dal moto rotatorio nelle tombe dei grandi del passato. Il valore di Á la recherche potremmo quantomeno misurarlo in watt, che si produrebbero copiosi dai loculi di una quantità non indifferente di grandi personaggi, chiaramente Proust e Visconti su tutti.

I due non hanno nemmeno nobili intenzioni, non sono mossi dall’amore per il romanzo o dall’ambizione di riuscirlo ad adattare. Vogliono semplicemente fare un film con Visconti, lui perché grande ammiratore e lei perché amante passata che vorrebbe tornare attuale o quantomeno riavvicinarsi. Per farlo sono disposti a maciullare Proust per dar più spazio a Charles, che nelle intenzioni dovrebbe esser interpretato da Helmut Berger, così da avere il suo ok.

Se tutto questo non bastasse, Base vorrebbe introdurre tra i suoi protagonisti una tensione sessuale che non esiste e finisce per rendere imbarazzante qualsiasi momento di minimo contatto. Figuriamoci quando nel finale, dove ormai lo spettatore ha gettato la spugna, decide inspiegabilmente di metterci uno stupro, che si conclude con un lento. Mai folie à deux risulterà una definizione più azzeccata.

Il dibattito di Moretti si chiudeva con un presentatore sconsolato che annunciava: «La volgarità, purtroppo, ha trionfato ancora una volta». Quarant’anni dopo noi la volgarità la rimpiangiamo quasi, perché almeno i vaffanculo qualche cosa vogliono pur dirla. Davanti a uno schermo su cui per un’ora e mezza si va avanti senza dir nulla possiamo confessarci, invece, che più della volgarità a trionfare è, ahinoi, la futilità.