Addio a Helmut Berger, la vedova di Visconti. E punto di domanda del suo cinema

È morto a 78 anni Helmut Berger, attore e compagno di Luchino Visconti, con cui restò nell’ultima parte della sua vita e di cui fu sempre “vedova” come si dichiarò lui stesso. Un attore che ebbe i suoi punti più alti negli anni ’70, con i ruoli nella trilogia tedesca e ne “Il giardino dei Finzi-Contini” di De Sica (da Bassani). E che resterà come una delle icone più sfidanti e oblique del cinema europeo…

È stato uno dei volti dell’obliquo, Helmut Berger, di ciò che deraglia dai binari abituali. Ludovico II di Baviera, che al triste esercizio del potere preferiva il genio sconvolgente di Wagner, l’agghiacciante Martin de La caduta degli dèi. Tutti ruoli per Visconti, di cui fu compagno fino alla morte, uno dei ruoli più obliqui di tutti: l’omosessuale nell’Italia degli anni ’70.

Berger è morto a Salisburgo, a 78 anni, all’improvviso secondo quanto riportano le fonti tedesche. In Austria c’era nato, nel 1944, per poi scappare nemmeno ventenne in Italia, il più lontano possibile dalla tradizione alberghiera di famiglia. Galeotti furono poi gli Etruschi, nel 1964 seguiva uno scavo archeologico a Volterra, lì dove Luchino Visconti stava girando Vaghe stelle dell’orsa, con Claudia Cardinale (piccolo capolavoro dell’obliquo anch’esso, dove Leopardi incontrava l’incesto).

È proprio la grande attrice a fargli conoscere il regista, che se ne innamora all’istante e inizierà con Berger l’ultima relazione della sua vita. Prestissimo lo portò sullo schermo, prima come maggiordomo nel suo episodio del film collettivo Le streghe, pensato da De Laurentiis per esaltare Silvana Mangano, che appariva in tutti gli episodi.

Poi da lì i grandi ruoli, nella trilogia che spesso chiamano “tedesca”. Prima La caduta degli dèi nel 1969, basata sul Macbeth, in cui su di lui confluivano i lati più atroci della sfera sessuale, fino alla pedofilia e allo stupro, nel finale perfettamente integrati nella violenza del nazismo. Poi Ludwig, in cui fu il protagonista indimenticabile, al punto che molti anni dopo, nel 1993, tornò a interpretare il sovrano bavarese in un Ludwig 1881 diretto da Donatello e Fosco Dubini.

Visconti forse vide in lui i tratti di una mascolinità promiscua e più sfidante, rispetto al viso pulito e “frontalmente nazionale” (ci perdonerà Pennac se gli rubiamo le parole) di Alain Delon. In ogni caso lanciò così la sua carriera, che toccò subito dopo un’altra vetta importante e mai più superata con la partecipazione ne Il giardino dei Finzi-Contini di De Sica, da Bassani. Fu poi Arconati ne La colonna infame di Nelo Risi, dall’appendice ai Promessi Sposi di Manzoni e, ancora per Visconti, il cinico Konrad in Gruppo di famiglia in un interno.

La morte di Visconti fu l’inizio della sua discesa. Nel giorno dei suoi funerali, nel 1976, si definì la sua “vedova”. Seguirono anni di poco lavoro, lotta con l’alcolismo, apparizioni decadenti su schermi televisivi e rotocalchi. Coppola lo recuperò nel 1990 per Il padrino – Parte III, nel ruolo di un banchiere svizzero, ma la sua carriera non riuscì mai a risollevarsi completamente.

Che complice del suo eclissarsi sia stata la tendenza a rendere eretto ogni obliquo può essere solo una suggestione. Così come può esserlo pensare che a volte l’obliquo richieda troppo equilibrio per non diventare una caduta. Il ricordo di Helmut Berger, però, rimarrà, cristallizzato nello sguardo di uno degli uomini che amò, riamato, e di cui fu vedova tutta la vita.

Rimarrà, oltretutto, nella sfida dei suoi zigomi pronunciati, nel dubbio del suo corpo androgino. E nei ruoli che gli cucì addosso Visconti, facendone la sagoma perfetta di un punto di domanda sulla moralità che non ha mai smesso di essere attuale.