Addio Citto Maselli, l’ultimo grande maestro. La storia e il futuro del cinema
È scomparso il 21 marzo, nel primo giorno di primavera, Citto Maselli l’ultimo grande maestro del nostro cinema. Nato a Roma il 9 dicembre del 1930, aveva 92 anni, vissuti da combattente, intellettuale e autore in costante dialogo con ogni linguaggio dell’arte. Ha attraversato l’intero Novecento raccontandolo nel suo cinema, senza mai smettere di guardare al futuro. Giovedì 23 marzo in Campidoglio (sala Protomoteca) l’estremo saluto dalle ore 10 alle 13 …
La storia e il futuro. Il Novecento e oltre. Se c’è un autore, un intellettuale, un artista che non si è fermato al racconto del secolo breve ma ha segnato un ponte col presente e per questo col futuro, è Citto Maselli che se n’è andato nella mattina del 21 marzo, il primo giorno di primavera, a 92 anni.
Con lui nella sua bella casa romana, al Flaminio, ad accompagnarlo fino all’ultimo respiro – letteralmente – Stefania Brai, complice e pilastro di una vita lunga e bellissima, militante e ricca di ogni linguaggio dell’arte. A riprova di quel cinema d’autore, di cui è stato e sarà sempre una bandiera (sollevata giovanissimo già come aiuto di Visconti e Antonioni), che non può fare a meno della letteratura, della pittura, del teatro. Lui che è cresciuto con Pirandello in famiglia (a lui deve il diminutivo di Citto al posto di Francesco) nel salotto intellettuale di papà Ercole, critico letterario de Il Messaggero, frequentato da Massimo Bontempelli, Corrado Alvaro, Silvio D’Amico, Guido Piovene, Emilio Cecchi, Rosso Di San Secondo.
E che a quelle radici profonde ha aggiunto da subito la passione politica. Il cuore rosso di Citto ha cominciato a battere già da studente, al liceo Tasso di Roma durante il fascismo insieme a Luigi Pintor, Aggeo Savioli, Luciana Castellina, Alfredo Reichlin, Sandro Curzi. “Ero precoce in tutto” amava raccontarsi. Così che a 14 anni era già nella Resistenza romana.
Cominciano da lì la lunga militanza nel PCI, le lotte per l’indipendenza degli autori alla testa dell’ANAC, le battaglie per il rinnovamento della Biennale alla fine degli anni ’60 e più recentemete (con Emidio Greco) l’imput per la nascita de Le Giornate degli autori. E ancora Rifondazione, attraverso una coerenza e un rigore che davvero pochi intellettuali possono vantare. Così che quel suo essere “comunista” fino in fondo, dichiarato dal palco della Mostra di Venezia per l’omaggio-tributo a “reti unificate” ricevuto dal Festival del 2021 risuona ancora oggi come il suo lascito più forte.
Eppure nessuno come Citto Maselli è stato il cantore critico del Pci e della sinistra tutta, capace di raccontarne contraddizioni e tradimenti. Lettera aperta a un giornale della sera (1970), uno dei suoi capolavori, è una folgorante riflessione sulle contraddizioni degli intellettuali comunisti, a fronte di un Pci – già allora – sempre meno “rivoluzionario“. Il sospetto, del 1975, col magnifico Gianmaria Volontè nei panni del “compagno Emilio” tradito dallo stesso Pci durante il fascismo, diventò un film manifesto che formò generazione di comunisti. Fino alle critiche, ancora più dirette, a quel gruppo di intellettuali di sinistra ormai (Le) ombre rosse (il film è del 2009), di fronte alle azione dei giovani dei movimenti e dei centri sociali in cerca di nuovo inizio. Del futuro, insomma. Verso cui Citto si è spinto anche coi film collettivi immaginando che Un altro mondo è possibile.
Il passato, invece, l’ha vissuto superando il percorso segnato dai padri del Neorealismo. Senza tralasciare la formazione, vissuta giovanissimo, anche coi film di Jean Renoir, Marcel Carné, Julien Duvivier e quel magnifico eroe proletario che era Jean Gabin, come amava ricordare sempre. Così come pure amava ricordare che Il primo film dei Lumière è l’uscita delle operaie dalla fabbrica. “Le questioni sociali e il loro racconto sono presenti alla nascita del cinema”, sottolineava.
Il racconto sociale dell’Italia, dunque, è stato il suo punto di partenza. Già da quel sorprendente esordio d’autore, Gli sbandati (1955) Citto venticinquenne (aiuto di Visconti e Antonioni) aveva calato i suoi assi con una storia resistenziale in cui la critica alla borghesia e i potenti ritratti femminili, emergevano come cromosomi di un DNA che non avrebbe mai tradito. Regalando di lì ia poco capolavori come I delfini o Gli indifferenti dal romanzo d’esordio di Alberto Moravia. Ma ancora le straordinarie protagoniste, portate sul grande schermo, in realtà già nel ’53 con Storia di Caterina – dei suoi film, davvero il primo e il suo preferito -, culminate nei titoli più intimisti, ma solo in apparenza Storia d’amore , Codice privato, L’alba e Il segreto.
Erano gli anni in cui tutto era condiviso. E Citto tra gli altri, faceva parte di quell’enorme capitale artistico e umano di un bel gruppo di amici al bar (o al ristorante da Otello la storica trattoria romana), tra pittori, scrittori, registi e sceneggiatori. Preparatevi che l’elenco è lunghissimo: Cesare Zavattini, Alberto Moravia, Ermanno Rea, Italo Calvino, Emidio Greco, Gillo Pontecorvo, Ugo Gregoretti, Dino Risi, Mario Monicelli, Ettore Scola, Renato Guttuso, Giorgio Arlorio, Carlo Lizzani, Furio Scarpelli, Giovanna Marini, Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Giliano Montaldo e ancora Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni e Flaiano che a tutti loro si divertiva a dare i nomignoli.
Chi da questo racconto si immagina un Citto severo militante o trinariciuto, però, si sbaglia di grosso. Per tutti Citto era anche “Il patito comunista” secondo l’ironica definizione d’antan di Ennio Flaiano di cui lui per primo, ancora oggi, era molto divertito. Sapeva divertirsi e divertire Citto Maselli. I suoi aneddoti – un secolo di ricordi vissuti con i nomi più incredibili del ‘900, da Sartre a Marquez: li ha conosciuti davvero tutti i personaggi da antologia – erano il pezzo forte e irresistibile non solo delle sue interviste, ma di ogni festa, cena o incontro tra amici. Tanti li troverete nella meravigliosa raccolta Frammenti di Novecento, racconto, firmato da lui stesso per la tv, in cui da grande narratore qual è stato ci ha regalato un ritratto magnifico della cultura italiana tra gli anni Trenta e Sessanta.
Altri ancora è riuscito a metterli insieme Daniele Ceccarini nel suo recentissimo omaggio ritratto doc,Citto. È l’ultimo racconto di sè che Maselli ci lascia, insieme al suo cinema immenso, il suo esempio rigoroso, la sua straordinaria generosità e umanità, alle quali chi scrive deve l’intera avventura di queste pagine web (troverete qui anche molti suoi articoli), nonché la nascita di Bookciak, Azione! oltre che un’amicizia ventennale, fatta di infinite lezioni di storia, di vita, risate e condivisioni sincere tra gli alti e bassi del quotidiano di ciascuno. Ed è bello che Citto abbia affidato questo suo ultimo racconto a Daniele Ceccarini, un giovane regista (ora quarantenne). Lo dicevano all’inizio: Citto e il suo cinema sono già nel futuro.
A Stefania l’abbraccio più grande.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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