Addio Felice Farina. Il cinema italiano piange l’ultimo degli autarchici

È morto a 69 anni Felice Farina, cineasta innovativo e ironico, e rappresentante tra i più originali del cinema indipendente italiano. Un autore completo, che non ha mai lesinato l’impegno, né nella lavorazione né nei temi dei suoi film. Ma anche un p pioniere delle tecnologie cinematografiche e un attento osservatore del panorama politico e storico italiano. Il 22 settembre (ore 15) alla Casa del cinema di Roma il ricordo di amici e registi …

Purtroppo non è solo svenuto, come giocosamente titolava la sua commedia d’esordio. Felice Farina è morto il 18 settembre, all’improvviso, a 69 anni. Stava ultimando un nuovo film, Falso storico, racconto documentario sulle falsificazioni e mistificazioni alla base dei fenomeni di corruzione e di malaffare durante il ventennio fascista. Uno di quei suoi documentari innovativi e provocatori insieme, a cui ancora una volta si stava dedicando ben oltre gli usuali confini del ruolo del regista.

Era il suo modo di far cinema, prestarsi anima e corpo ai film, sbattendosi nelle mille angherie a cui i registi veramente indipendenti vanno sempre incontro, specie in Italia. Ma senza mai perdere quel mix di ironia, intelligenza e originalità tratto distintivo del suo lavoro e del suo essere uomo di cinema a tutto tondo: attore teatrale, appassionato di animazione, fotografia, documentario – appunto – sceneggiatura e pure di effetti visivi. Spesso per i suoi film ha ricoperti tutti questi ruoli.

Un autarchico vero, insomma, che può essere senza retorica indicato come il prototipo chiaro del cineasta indipendente. A partire dalla casa di produzione, la sua NinaFilm, che con orgoglio annoverava tra le realtà che vanno avanti senza badare al profitto, solo perché credono in quel che fanno.

L’impegno, la virtù migliore degli autori, era il territorio in cui si muoveva. In Italia è stato a suo modo anche un pioniere, montando per primo, nel 1995, il suo Bidoni in digitale sui software AVID, allora appena agli albori e oggi leader indiscussi del settore, usati dalla stragrande maggioranza delle produzioni.

Un film che al coraggio della produzione accostava quello sui temi, la corruzione, il vero intramontabile punto di sfacelo di tutto il sistema politico italiano e argomento a cui era tornato proprio in Falso storico. L’impegno era ovviamente sempre anche politico infatti, senza timore di confrontarsi con i temi scabrosi. Non a caso Farina era membro orgoglioso dell’Anac, che nel ricordarlo l’ha giustamente descritto come “la costola più solida e tenace del nostro cinema indipendente”.

Alle prima edizione delle Giornate degli Autori 2014 portò Patria, il suo personale adattamento dell’omonima quasi enciclopedia storico-politica di Enrico Deaglio. Personale perché anzitutto differiva dalla visione dello scrittore, “Deaglio non lascia speranze, io non la penso così” aveva voluto specificare, pur senza mai lasciare che l’ottimismo imbonisse i giudizi sugli avvenimenti più bui del dopoguerra italiano.

Proprio in quegli anni lui in realtà attraversava altre realtà. Nato a Roma nel 1954, Farina al cinema era approdato solo come ultima tappa, passando prima per il teatro e poi per la televisione, con cui ha continuato a collaborare per moltissimi anni, producendo documentari per vari programmi, in particolare Geo&Geo.

Debuttò sul grande schermo solo nel 1986, scrivendo e dirigendo la commedia Sembra morto… ma è solo svenut sul quotidiano di un fratello e un sorella avviati alla frattura dopo una vita insieme e interpretati da Sergio Castellitto e Marina Confalone. Mentre la sceneggiatura è scritta a quattro mani dallo stesso Felice con scritto assieme a Gianni Di Gregorio. Seguì poi Affetti speciali (ancora una volta due fratelli, stavolta al capezzale di una madre morente), ma il successo maggiore fu il terzo lungometraggio, Condominio, ambientato in un palazzone della Magliana, che valse a Ciccio Ingrassia un David di Donatello come miglior attore non protagonista nel 1991.

Pur avendo trovato un pubblico piuttosto benevolo con le commedie, scelse poi di cambiare radicalmente, dedicandosi al thriller. Prima con Senza freni nel 2003, storia che partiva da un terribile incidente d’auto per allargarsi al racconto dell’infanzia del suo giovane protagonista. E poi con La fisica dell’acqua, dove diresse Paola Cortellesi e Claudio Amendola, finendo di girare nel 2007 ma riuscendo a trovare una distribuzione solo tre anni dopo.

Ulteriore dimostrazione che per i veri indipendenti il mercato si rivela sempre ostico. Il suo ultimo film, arrivato nelle sale 2018, è Conversazioni atomiche, simpatico documentario nato dalla sua fascinazione verso la scienza. Ma soprattutto esempio di uno dei suoi maggiori obiettivi, il dialogo tra generazioni, che potrebbe quasi essere un fil rouge della sua idea di cinema. Si è anche interessato  di arte e ha progettato delle sculture con l’amico artista e giornalista Gregorio Botta.

Se si vorrà cercare in futuro una definizione pura e sincera di cineasta, il suo lavoro rimarrà come uno dei migliori candidati a rappresentarne a pieno il significato. Per chi lo vorrà salutare l’appuntamento è venerdì 22 settembre alla Casa del cinema di Roma, ore 15 per un suo ricordo condiviso tra amici e cineasti.