Adozioni e diritti tra dramma e commedia. In sala l’insolito on the road con Castellitto centenario

In sala dal 7 settembre (con Lucky Red) “Il più bel secolo della mia vita” di Alessandro Bardani, tratto dall’omonima pièce dello stesso regista. Una legge assurda ancora in vigore impedisce ai figli non riconosciuti alla nascita di conoscere i genitori biologici. Tra denuncia e commedia un insolito road muvie con attori d’eccezione e un Sergio Castellitto ultracentenario con i denti bianchissimi, inaugura degnamente la nuova stagione cinematografica. Passato in concorso al Giffoni Film Festival 2023 …

 

Tratto da una pièce teatrale ma con un debito riconosciuto anche alla pagina scritta, Il più bel secolo della mia vita è un film diretto da Alessandro Bardani, in sala dal 7 settembre (distribuito da Lucky Red e Goon Film con Rai Cinema e in collaborazione con Amazon Prime) per inaugurare degnamente la nuova stagione cinematografica.

L’argomento trattato, quello delle adozioni, è assai delicato e non frequentato spesso dal cinema. In questo caso abbiamo il giovane Giovanni (Valerio Lundini, noto volto televisivo) che, alla morte del padre adottivo, ha scoperto di essere stato abbandonato dalla vera madre. Poiché si batte assieme a un’associazione per l’abolizione della legge che impedisce a chi ha meno di 100 anni di conoscere l’identità dei genitori biologici, viene incaricato di ingaggiare il centenario Gustavo (un Sergio Castellitto splendidamente invecchiato ma tradito dai denti bianchissimi) per fargli fare il testimonial a un evento che ha lo scopo di denunciare la negazione di un sacrosanto diritto civile. Difatti, come ci viene spiegato nei titoli di coda, ciascuno ha il diritto di conoscere le proprie origini non solo per una questione di identità personale ma anche per poter diagnosticare e prevenire eventuali malattie ereditarie.

Dei trascorsi non facili di Gustavo ci viene presentato qualche scorcio in flashback, anche con l’aiuto di preziosi filmati d’epoca, prima che inizi il viaggio dall’ospizio in cui Gustavo è sottoposto alla cura severa e non graditissima delle suore al luogo dove si dovrà tenere la conferenza di cui sarà lui ospite d’onore.

Ben presto questo on the road abbastanza inedito – anche se ricorda illustri precedenti come Quasi amici e In viaggio con papà, con Carlo Verdone e Alberto Sordi a cui chiaramente Castellitto fa il verso – si trasforma in uno scontro di personalità, tra l’ancora gaudente Gustavo e il più che rigido e compassato Giovanni, tutto compreso nella sua missione e per nulla disposto ad assecondare desideri e voglie del suo compagno di viaggio.

La storia cambia improvvisamente registro quando nel film fa irruzione la mamma di Giovanni, la splendida e sensibile Carla Signoris capace di evocare interi mondi con un semplice gesto. È qui che la commedia si trasforma in un dramma esistenziale dalla non facile soluzione. Forse perché nel frattempo lo spettatore ha simpatizzato con le ragioni di Gustavo, il quale non ha alcun interesse a conoscere le proprie origini e condensa il proprio pensiero in una frase da incorniciare: “i figli non appartengono a chi li fa ma a chi li ama”. Se il film avesse preso posizione su questo punto avrebbe perso il suo carattere di denuncia civile contro la legge citata in precedenza. In breve, per salvare la capra della commedia e i cavoli dell’impegno civile, la storia denuncia qualche incertezza che rischia di fargli perdere il filo.

Resta comunque assai godibile il confronto tra il vecchio disincantato Gustavo e il ragazzo che pian piano rinuncia alle proprie certezze fino a cedere alla tentazione di lasciarsi andare. Da segnalare la breve, esplosiva, apparizione di Sandra Milo in un contesto – locale notturno di via Veneto – che ha a che fare con la narrazione ma il cui motivo non è spiegato esaurientemente, se non per far virare di nuovo il racconto verso la commedia nel punto di sua maggior debolezza.