Aldo Nove, muoversi per non morire
Nella vita quotidiana abbiamo tutti bisogno di cose.
Ero piccolo ma già sapevo che riempirsi di cose è un modo che usiamo per sentirci il più lontano possibile dal nulla.
Per questo le case si riempiono di elettrodomestici e di lampadari dalle forme più strane da cambiare il più possibile insieme ai divani e alle poltrone e a tutto il resto.
Bisogna smuovere tutto, cambiare tappezzeria.
Perché la morte è quando tutto resta fermo.
Fermo.
Allora è come se il pavimento diventa di ghiaccio e si incrina, si fa un crepaccio e la gente ci scompare dentro, con i suoi nomi e le sue cose, e dentro, dentro è sotto la terra, è il cimitero.
Invece se si pulisce sempre la casa è diverso.
Invece se si comprano tanti detersivi è diverso.
Bisogna pulire le posate.
Passare lo straccio.
Bisogna darsi tanto da fare per non incrinare quel ghiaccio. E finirci dentro.
Ecco qua un assaggio della Vita oscena (Einaudi) di Aldo Nove, al secolo Antonio Centanin, nato a Viggiù nel 1967 e “nato” letterariamente come cannibale nel ’96 del secolo scorso, in realtà scrittore “esistenziale” e raffinato poeta: tutte le sue opere, dall’esordio con Woobinda a questo suo penultimo romanzo uscito nel 2010 e ora diventato un film, sono un tentativo di conciliare, o almeno capire e intrecciare vita privata e vita pubblica. Un “lavoro” arduo e quasi impossibile in un’epoca feroce e materialista, cinica e coatta. Aldo Nove racconta infelicità senza scampo, assurdità, vite estreme e terribili ma allo stesso tempo pieni di luce e di grazia. Ci siamo tutti dentro la vita oscena, una vita alla ricerca di un senso, intimo e collettivo, una vita di cadute e tentativi di risalita, come tutte le nostre vite. La vita oscena è la storia di un ragazzino che perde i genitori a distanza di qualche mese, e si abbandona a un percorso estremo di droga, sesso e solitudine. È la storia dello scrittore. Ha detto Nove di questo libro: «Quando ho pubblicato il mio primo romanzo avevo urgenza di raccontare il mondo che mi circondava. Sentivo di avere una specie di compito da svolgere. Volevo marcare i confini della mia esperienza e del mondo. Avevo bisogno di definire, per comprendere. Ma c’è qualcos’altro, ed è il dolore stesso. Diciamo che adesso mi sono sentito pronto, non solo come scrittore. Dovevo acquisire un distacco sufficiente, un altro sguardo per poter scrivere di quanto ho vissuto»: La vita oscena è la storia di una famiglia che scompare e di quello che si lascia alle spalle, di un ragazzo che cresce cercando allo stesso tempo di annientarsi e di salvarsi.
È, quella di Nove, una scrittura etica, che illumina la barbarie del nostro tempo e lo smarrimento dei singoli. Un misto di stupore e rassegnazione, per gli umani e il loro sentire. Ho sempre pensato che le sue opere, soprattutto le sue poesie, siano il tentativo di scrivere “preghiere” alla sacralità della vita. Perché, come in un esperimento alchemico trasformano la descrizione della disperazione, della spinta autodistruttiva dei suoi personaggi, in possibilità. La vita è integrità e rottura insieme, ci dice Aldo Nove, perché è ricomposizione costante ed eterna, e i suoi scritti riescono a rendere belle e preziose le “persone” che hanno sofferto – e questo si chiama “amore”.
“C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce”. (Leonard Cohen, Anthem)
Stefania Scateni
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