Anche i ricchi piangono. Con “Il colibrì” la Festa di Roma vola (molto) basso
Apertura deludente per la Festa di Roma 2022 con la saga familiare di ricchi borghesi, piena di lutti e dolori, de “Il colibrì” firmata Francesca Archibugi. Dall’omonimo romanzo di Sandro Veronesi un film che saltella implacabilmente da un’epoca all’altra, fino alla fine per eutanasia del protagonista in un trionfo di estetica protesica. L’unico che nel film invecchia bene è Nanni Moretti nei panni di un petulante psicoanalista. In sala dal 14 ottobre per 01 Distribution …
Non mi è mai capitato – per questo lo confesso senza vergognarmi – di dover scrivere su un film nato da un noto romanzo, senza averlo mai letto. Per questo prima di entrare in sala avevo dato un’occhiata di soccorso su Wikipedia, dove di solito scrivono con una certa precisione, considerando che gli autori vivi posso ancora controllarle, quanto meno le trame.
Del non riuscito film che è nato, a quanto dice la regista Francesca Archibugi su proposta del produttore Procacci, non si può dire un gran bene.
Di questa saga familiare di ricchi borghesi, domiciliata in splendide case, piena di lutti e dolori, forse un altro tipo di sceneggiatura, meno ligia all’idea di frammento temporale e alla struttura ad incastro che a quanto pare ha giovato molto al romanzo, avrebbe dato un miglior risultato.
E soprattutto avrebbe forse dato molta più luce e coerenza al carattere sicuramente interessante del protagonista: Marco Carrera oculista (Pierfrancesco Favino) un uomo in grado di star fermo sbattendo forte le ali (metaforicamente), come il suo soprannome, convinto che sia il solo modo per sopravvivere a dolori peggiori.
Il film si apre su una villa mozzafiato al mare. È di una coppia litigiosa di professionisti fiorentini una snob architetta (Laura Morante), scopriremo con amante, il marito ingegnere, appassionato di trenini e romanzetti dell’Uranio e i tre figli adolescenti, una Cassandra che passerà proprio lì a miglior vita grazie a mare&barbiturici e due maschietti, entrambi innamorati di una francesina che è in vacanza nella villa accanto.
È di lei, Luisa Lattes (Bérénice Bejo), che si innamora proprio lì e per sempre il futuro oculista, così tanto da rinunciare da sposato con un’altra (Kasia Smutniak), anche al sesso con lei, pur di poter mantenere senza rischi il rapporto con la Luisa ritrovata dopo anni.
Il film saltella implacabilmente da un’epoca all’altra fino alla fine per eutanasia del protagonista in un trionfo di estetica protesica. Con lui vecchietto rugosissimo come tutti gli altri, soprattutto la Smutniak con un collare di rughe che non ho visto neanche a donne centenarie.
L’unico che nel film invecchia bene è Nanni Moretti, recuperato a tutti i costi dalla Archibugi (forse anche per il successo ottenuto in Caos Calmo il film tratto dal primo Strega di Veronesi), che in Colibrì fa un petulante psicoanalista che ottiene il meglio in tarda età facendo l’arbitro delle partite di tennis.
Del film, che nulla ci risparmia, neppure il parto della nipote col nonno in una piscinetta in plastica, si salva soprattutto la capacità della Archibugi di dirigere adolescenti e bambini che ricordiamo dall’epoca di Mignon è partita.
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