Ancora quelli di Venezia 81. Vita di un impostore spagnolo: è “Marco” il finto internato di Cercas

Ancora da Venezia 81, dove nel concorso Orizzonti, è passato “Marco”, il film del duo spagnolo Aitor Arregi e Jon Garraño, dedicato a Enric Marco, famoso per essersi finto per decenni un internato nei lager. Con la particolarità che nella Spagna fascista di Franco i (veri) sopravvissuti ai lager, al loro ritorno, non furono riaccolti. La storia incredibile era stata già raccontata da Javier Cercas ne “L’impostore“. Il film però non va oltre il suo personaggio, interpretato da un bravo Eduard Fernández.

«Dovreste chiedermi piuttosto come mai non ne siano usciti trenta di libri su questa storia!». Rispondeva così Javier Cercas, il grande romanziere spagnolo, a chi davanti al suo L’impostore (Guanda) gli chiedeva conto delle ragioni per scrivere di Enric Marco. Oggi quella storia conta anche un film, Marco appunto, presentato in concorso tra gli Orizzonti di Venezia 81 e diretto da Aitor Arregi e Jon Garraño.

La vita di Enric Marco in effetti è ghiotta, sfiora il surreale, anzi forse addirittura lo supera. Nel giro di una manciata di giorni è passata da essere degna di rispetto a trovare il biasimo di chiunque. Il film si concentra un po’ prevedibilmente proprio su quella piccola parentesi di giorni, sulla caduta e sul tonfo che l’ha seguita.

Per le assurdità del tempismo, la reputazione di Marco crolla nel momento di maggior successo. Siamo nel 2005, lui è a capo dell’associazione degli internati spagnoli nei campi di concentramento. Dopo anni di lavoro, stanno per ottenere un riconoscimento enorme: la presidenza delle commemorazioni a Mauthausen e la presenza dell’allora primo ministro spagnolo, il socialista José Luis Zapatero.

Per capire la portata di questo fatto bisogna fare un piccolo passo indietro e immergerci in una storia diversa dalla nostra. Tutti i sopravvissuti europei ai lager tornarono in paesi profondamente cambiati, pronti a dividersi in due blocchi ma uniti nella condanna al nazismo e agli orrori dei campi di concentramento. In Spagna, invece, le cose furono molto diverse, lì la dittatura fascista di Franco era ancora al potere.

Il caudillo aveva stretto un patto con Hitler che prevedeva il mancato reclamo degli internati spagnoli in territorio del Reich. A guerra finita, gli spagnoli si ritrovarono non solo con la cicatrice indelebile della prigionia, ma anche con il rifiuto del loro stesso paese a riaccoglierli. Tutto questo fece sì che sotto la dittatura, in Spagna circolò molto poco l’esperienza dei lager e dell’ Olocausto.

È in questo silenzio che Marco si è imposto, iniziando a parlare dei suoi trascorsi nella Guerra Civile, dove era stato al fronte anche nella battaglia dell’Ebro, una delle più sanguinose e famose, e poi internato a Flossenbürg. Lo fa oltretutto da una posizione autorevole, quella di sindacalista irriducibile della CGT spagnola, proprio negli anni della Transición, il passaggio dalla dittatura alla democrazia.

Per tutto il tempo a seguire Marco continua a raccontare la sua storia, nelle scuole o nella vita pubblica, partecipando a libri, programmi televisivi e radiofonici. Peccato che fosse tutto completamente inventato, come scoprì uno storico, Benito Bermejo, rovinandolo e imbarazzando enormemente il governo spagnolo proprio alla vigilia delle commemorazioni a cui abbiamo già accennato.

Il film del duo spagnolo è molto didascalico, quasi televisivo. Chiaro che con una storia così c’è poco da inventare, ha già fatto tutto il personaggio, ma si poteva ugualmente provare a seguire la vicenda cercando delle chiavi di lettura più audaci. I registi sono molto bravi a mescolare le loro riprese con quelle storiche, compreso un acceso confronto con Cercas in cui il Marco reale provava a protestare pubblicamente. Ma al di là di questo non si lanciano in particolari guizzi.

È intelligente la scelta di far vedere anche loro la finzione in apertura, lasciando in campo il ciak, come a dire che anche il film è realtà tagliuzzata e rimessa insieme come serve. Ed è bravo l’attore principale, Eduard Fernández, attento a ricalcare i tentativi di arrampicarsi sugli specchi con ostentata sicurezza del suo personaggio.

Marco rimane per la sua storia più che per il film che è. Una storia che, tanto per rivangare un vecchio adagio, era raccontata ancor meglio nel libro. Almeno, però, ha il pregio di condensarla efficacemente in poco più di un’ora e mezza, lasciando la curiosità di approfondire tra le pagine di Cercas. Sembra poco, ma in una Venezia di film fortemente incontinenti non è da sottovalutare.