Caino e Abele s’incontrano al bagno. La crudeltà del presente nel cinema di Daniele Segre

È “Mitraglia e il verme”, film di finzione di Daniele Segre, grande narratore della realtà conteporanea. Un film del 2004 che più di altri ha subito la “censura del mercato”, escluso da festival e sale. Un film dall’impianto teatrale – come il precedente “Vecchie” – di potente crudeltà con un Caino e un Abele (Antonello Fassari e Stefano Corsi) che ci mettono di fronte all’inumanità del nostro presente. L’articolo è uscito su l’Unità de il 19 – 7 – 2004 …

Lo scenario sono i bagni dei mercati generali. È qui che si incontrano Mitraglia, responsabile delle vendite dei prodotti ortofrutticoli e il Verme – soprannome che si è dato da solo -, il guardiano dei bagni. Sono loro i protagonisti del film di Daniele Segre, Mitraglia e il Verme, appunto, girato a Roma nel 2004 in totale autarchia – produce I Cammelli dello stesso regista – e in attesa di un «segnale» che lo porti al prossimo festival di Venezia.

Un nuovo film di fiction che, idealmente, prosegue il fortunato percorso intrapreso con Vecchie, due donne che si raccontano attraverso un’unica inquadratura fissa e due straordinarie attrici: Barbara Valmorin e Maria Grazia Grassini. Prima a Venezia, poi nelle sale, poi ancora a teatro Vecchie è nato soprattutto «intorno» alle due interpreti. Così come Mitraglia e il Verme, costruito a partire dai due attori: Stefano Corsi e Antonello Fassari, entrambi «uomini di teatro» con un passato legato a Luca Ronconi, anche se il secondo è noto ai più per i suoi trascorsi televisivi. Sono loro, infatti, che firmano la sceneggiatura insieme allo stesso regista e ad Antonio Manca, un allievo della Scuola nazionale di cinema.

«A differenza di Vecchie però – sottolinea Daniele Segre – qui il racconto non è affidato soltanto alla memoria delle due protagoniste, ma c’è anche una trama, un racconto che prende l’avvio dall’incontro tra i due personaggi che si ritrovano nei bagni dei mercati generali».

Mitraglia, infatti, soffre di calcoli renali e per questo è costretto suo malgrado a diventare un habitué di quella sorta di ultimo piano dell’esistenza. Lui che fa lo strozzino, che ha tutto un suo modo di intendere la vita non vorrebbe certo «abbassarsi» a certi livelli.

Tanto meno per dover incontrare il Verme, «un grande essere umano – lo definisce il regista – una persona perbene, un giocatore incallito di corse di cavalli che nella sua vita, però, ha perso tante occasioni. Non per colpa del mondo, ma anche per colpa sua». Riuscendo, però, a non perdere mai di vista la dignità.

Due personaggi quasi in antitesi, insomma, ma che «ognuno di noi contiene – sottolinea Segre – . In ognuno di noi al tempo stesso c’è il Verme e c’è Mitraglia». Facce di un’umanità irrequieta, «pensosa» e piuttosto dolorante. Specchio di un presente che ci vede tutti in difficoltà.

«La storia – dice il regista – vive di una sua contemporaneità. Ma i personaggi hanno un loro valore universale che può persino esulare dal presente». Eppure la loro «nascita», come tutti i lavori di Daniele Segre, è stata sollecitata dall’«urgenza». La stessa che l’ha spinto a girare Crotone, Italia o Dinamite sul tema epocale della disoccupazione operaia proprio mentre quelle due «realtà» – l’Ilva e i minatori del Sulcis – erano lì pronte ad esplodere.

A proposito di sentimenti o Tempo vero, acute indagini attraverso il mondo della malattia e di chi la vive in prima persona o affianco al malato.

E ancora, Via due macelli, Italia- Sinistra senza Unità, occhio attento su quegli ultimi e concitatissimi giorni che portarono alla chiusura – per 8 mesi – del nostro giornale. Questo è il cinema di Daniele Segre, anche quando dal documentario passa alla fiction, come in Mitraglia e il Verme, appunto, «che nasce comunque – conclude il regista – dalla necessità di vivere il tempo presente, andando avanti nella ricerca di sguardi, messainscena e linguaggi nuovi, ma sempre riconducibili alla mia poetica». Quella appunto dell’«urgenza» di realizzarli.