Caterina la moglie di Barbablù. Alla corte di Enrico VIII un’altra riscoperta del cinema “femminista”

In corsa per la Palma d’oro “Firebrand” del regista brasiliano di origini tunisine Karim Aïnouz. Dal romanzo dell’inglese Elizabeth Fremantle (La mossa della regina, Mondadori 2014) un dramma storico che rievoca – in chiave femminista come va di moda – la figura di Caterina Parr, la sesta e ultima moglie del re Barbablù inglese, Enrico VIII. Con Alicia Vikander e Jude Law nei panni dei sovrani …

Chiariamo subito che Queen’s Gambit, il libro dell’inglese Elizabeth Fremantle non c’entra nulla con la celebre serie Netflix. C’entra, invece, con Firebrand il nuovo film del regista brasiliano di origini algerine, Karim Aïnouz, promosso al concorso di Cannes 2023 dopo la vittoria di Un certain Regard 2019 con l’incantato – e sempre letterario – La vita invisibile di Euridice Gusmão.

Là un melodramma personalissimo e rarefatto ambientato nel Brasile tra i 50 e i 70 al seguito di due sorelle separate da un padre-padrone, qui un racconto storico, più tradizionale, alla corte di Enrico VIII, ancora una volta dalla parte delle donne.

Le riletture in chiave femminista, vanno molto di moda, si sa. Lo stesso festival ha regalato l’ apertura a Maiwenn col suo Jeanne du Barry, l’ultima favorita di Luigi XV che di questo genere di operazioni è appunto un brutto esempio.

Diversamente vale per Karim Aïnouz che, a partire dal romanzo di Elizabeth Fremantle (in italiano La mossa della regina, Mondadori 2014) appunto, tira fuori dalla polvere delle storia ufficiale Caterina Parr, la sesta e ultima moglie del re Barbablù inglese, l’unica ad essergli sopravvissuta, miracolosamente, malgrado un complotto di corte, un’accusa di eresia e una condanna al rogo.

Vero, l’onda è sempre quella. Ma la qualità di questa “operazione” tutta inglese (anche nella produzione) lascia il segno. Magari non indelebile, ma gustoso. Alicia Vikander, la The Danish Girl da Oscar veste con personalità i panni di questa regina, intelligente, colta e “progressista”, tale da spingere per una chiesa protestante dalla parte del popolo. Jude Law, non da meno, nelle vesti extra large di Enrico VIII alla sua fine (siamo nel 1546 e lui morirà appena un anno dopo sopraffatto dal diabete e dalla gotta) ne rende tutta la follia, la brutalità, con quel suo corpo piagato e purulento da orco feroce e collerico.

Ormai instabile sulle gambe, malato e sempre più ossessivo impone il suo regime di terrore a corte. Caterina ne è la vittima principale, sia a letto che durante i rozzi banchetti. E peggio, l’aiuto che la regina offre in segreto alla sua amica d’infanzia, l’eretica Anne Askew, diventa merce di scambio per i complotti del potere.

Giochi di sguardi ossessivi, primissimi piani, velluti, pellicce e ambienti oscuri, come nella grande tradizione fiamminga che Karim Aïnouz sembra avere negli occhi, trasformano con totale libertà questa pagina di storia rendendola un thriller ad alta tensione. Una favola nera con un finale a sorpresa di gusto femminista per cui tifare in coro. E che conferma nuovamente il talento narrativo e visionario del suo autore.