Oscar 2018.”A Ciambra”, il tempo dei gitani calabresi, non entra nella short list

Non ce l’ha fatta “A Ciambra” di Jonas Carpignano ad entrare tra i novi finalisti stranieri per l’Oscar. È stato superato dai film del Cile, Ungheria, Israele, Libano, Russia, Senegal, Sudrafrica, Germania e Svezia. È comunque già un bel traguardo per un’opera che ha collezionato successi a partire dallo scorso festival di Cannes. Una storia di formazione, senza buonismi,  ambientata nella comunità rom di Gioia Tauro a cui il regista guarda con solidarietà. Produtture esecutivo Martin Scorsese.

Le aspettative erano tante, ma alla fine A Ciambra non ce l’ha fatta ad entrare tra i nove finalisti per il miglior film straniero in questa corsa per l’Oscar 2018. Era stato scelto a rappresentare l’Italia lo scorso settembre, tra altri 14 titoli (leggi qui), dalla  commissione composta da: Nicola Borrelli, Cristina Comencini, Carlo Cresto-Dina, Felice Laudadio, Federica Lucisano, Nicola Maccanico, Malcom Pagani, Francesco Piccolo.

Continuano, invece, la corsa lo svedese The Square di Ruben Östlund (Palma d’Oro a Cannes), il russo Loveless di Andrey Zvyagintsev (Premio della Giuria a Cannes), il cileno Una Donna Fantastica di Sebastián Lelio; il tedesco Oltre la notte di Fatih Akin; l’ungherese Corpo e Anima di Ildikó Enyedi (Orso d’Oro a Berlino), Foxtrot dell’israeliano Samuel Maoz L’insulto del libanese Ziad Doueiri (rispettivamente Gran Premio della Giuria e Colpa Volpi per l’interprete maschile a Venezia). Oltre che Félicité di Alain Gomis (Senegal) e The Wound di John Trengove (Sud Africa)

Tra questi nove titoli saranno soltanto cinque saranno nominati per la corsa all’Oscar nella categoria di miglior film straniero. L’annuncio delle nominations è previsto per il 23 gennaio 2018, mentre la cerimonia di consegna degli Oscar si terrà a Los Angeles domenica 4 marzo 2018.

qui di seguito la recensione di A Ciambra da Cannes.

Sul palco della Quinzaine des réalisateurs sono tutti lì, emozionatissimi e con l’abito della festa. I più piccoli e i piccolissimi davanti, fratelli e sorelle maggiori più in là, il padre sulla destra e al centro, più intimidito degli altri, in completo nero e mani in tasca c’è il protagonista, Pio Amato.

È la foto di gruppo di A Ciambra il nuovo, atteso, film di Jonas Carpignano che dopo Mediterranea, sulla comunità nera di Rosarno protagonista della drammatica rivolta del 2010, torna alla Quinzaine con un’opera seconda dedicata ai rom di Gioia Tauro. Una comunità di circa settecento abitanti, descritta dalle cronache locali come un ghetto di degrado, in un territorio in mano alla ‘ndrangheta, dove a rischio sono soprattutto i minori.

È tra loro che Jonas, 33enne newyorkese con papà sociologo negli States ma origini in Calabria (e qui anche produttore), ha vissuto per lunghissimo tempo. Più o meno sette anni, da quando, dopo esperienze sui set tra Roma e New York, ha scelto di trasferirsi a vivere a Gioia Tauro (cercando tracce di famiglia, chissà), dove ha cominciato a raccontare il mondo che lo circonda.

“La mia vita è una specie di casting” dice Jonas scherzando. Ogni incontro è un possibile nuovo personaggio per un nuovo film. Così è accaduto col piccolo Pio Amato, già protagonista undicenne del corto portato qui a Cannes nel 2014 ed ora, quattordicenne, protagonista di A Ciambra, film con produzione internazionale che vanta credits hollywoodiani: Martin Scorsese, produttore esecutivo e al montaggio quell’Alfonso Goncalves, sodale di tanto cinema di Todd Haynes e Jim Jarmusch.

Con le sue orecchie un po’ a sventola e gli occhi scuri profondi Pio ci introduce all’interno di un racconto che è in sè una storia di formazione. La sua formazione, la crescita di un ragazzino rom all’interno di una comunità che ormai ha perso le sue tradizioni di libertà e rispetto. Ce lo ricordano le varie apparizioni del nonno da giovane – unici momenti onirici del racconto interamente documentaristico – col suo cavallo dalla folta criniera. A sottolineare il contrasto con un presente in cui la grande famiglia Amato (“ormai la mia famiglia”, dice Jonas) vive tra i ricatti della ‘ndrangheta e i continui raid della polizia.

Quando il fratello maggiore e il padre finiranno in galera (l’uno per coprire un mafioso, l’altro per il furto di elettricità) Pio si ritroverà improvvisamente a fare l’uomo di casa, quello che deve provvedere alla famiglia, nonostante i suoi soli 14 anni. Del resto nel “ghetto” di Ciambra si cresce in fretta. A tre, quattro anni i ragazzini già si litigano le sigarette e vanno a “fare soldi” rubando in giro. La specialità di Pio è rubare le valigie sui treni che sono in partenza. Ma sa arrangiarsi anche in altri traffici.

A volte chiede pure aiuto al suo unico amico, un africano che ha la figlia in Burkina Faso (il burchinabé Koudous Seihon, già protagonista di Mediterranea) ed un magazzio pieno di merce. Sarà proprio il tradimento, il furto ai danni dell’amico organizzato dal fratello maggiore con la sua complicità, a sancire il passaggio all’età adulta del giovane Pio. “Ora sei un uomo” gli dirà il fratello, portandolo secondo tradizione consolidata nel bordello del paese.

È un po’ un tempo dei gitani calabrese questo secondo lavoro di Carpignano, anche se lui ci dice di non averci pensato ma di avere Kusturica tra i suoi riferimenti ed aver visto quel film a soli sette anni.

Ma in effetti non ci sono “buonismi” in A Ciambra, né momenti consolatori. Lo sguardo di Jonas Carpignano su questo universo ai margini, come quello dei migranti, è piuttosto uno sguardo solidale. Ed è proprio nel legare insieme le due comunità (col legame tra Pio e l’africano) attraverso l’amicizia e la solidarietà che si intravede la speranza, o meglio si indica la strada per un futuro possibile. Anche se al momento non c’è ancora.