Dipendenze d’amore. Estremamente Isabel Coixet e felicemente Veuve Clicquot, alla Festa

Passato in concorso “Un amor” ultimo film della spagnola Isabel Coixet, ispirato all’omonimo best seller di Sara Mesa. In paesino della Spagna rurale la dipendenza d’amor di una giovane traduttrice che, in cerca di pace e tranquillità, troverà una ben diversa accoglienza risucchiata dal vicinato sospettoso, invasivo, maldicente, petulante e pieno di richieste. Comunque di amore fortissimo, tratta  “Widow Clicquot” di Thomas Napper dedicato alla celebre vedova inventrice dello champagne …

Un amor dalla Spagna e uno dalla Francia.
Il primo è il titolo di un best seller di Sara Mesa (candidato nel 2022 al premio Strega europeo) e dell’omonimo film di Isabel Coixet, regista e sceneggiatrice (premio Goja nel 2018 per La casa dei libri) che si apre su un primo piano quasi da entomologo sul viso di un’africana. Sta raccontando il suo straziante vissuto: la sua fuga dall’Africa in cerca di salvezza altrove.

Subito dopo si passa davvero altrove: su un paesaggio spagnolo non proprio rilassante con punte impervie (il monte Glauco) e valli prive di abitanti.

Un amore

Una giovane donna – che scopriremo essere interprete di lingue africane e dunque anche della donna che abbiamo visto prima descrivere i sofferti orrori – stremata dai racconti accumulati e dal timore di commettere errori che impediranno la richiesta di accettazione di un rifugio in Europa, sta entrando in una casa a La Escapa, un paesotto della Spagna dove, in cerca di solitudine e pace ha affittato una casa scalcagnata. Più di quanto potesse immaginare.

Decisamente poco rilassante anche per via del suo aggressivo e inquietante proprietario che oltre a piombare senza preavviso le molla anche un rognoso cane.

Luogo assai poco bucolico dove la solitaria Nat traduce i testi e cerca di difendersi da infiltrazioni di ogni tipo, ma viene presto risucchiata dal vicinato sospettoso, invasivo, maldicente, petulante e pieno di richieste. Anche sessuali.
A una di queste, diciamo la più ripugnante, Nat aderisce inaspettatamente infilandosi in un tunnel di dipendenza d’amor. Finirà male, ovviamente. Come nel mondo disastrato quasi ovunque.

Ma c’è in chiusura un inatteso colpo di coda: resta il reciproco affetto tra lei e il suo rognoso cagnetto ermafrodita.

Di imprevedibile, doppio, fortissimo amore, anche se di altro tipo, si tratta anche in Widow Clicquot di Thomas Napper, ambientato nei primi dell’Ottocento in Francia nel paesaggio meraviglioso dello Champagne, dove Barbe-Nicole Ponsardin (Haley Bennet bravissima) sposa, come si usava, per scelta dei parenti, François Clicquot (Tom Sturridge) che riesce subito a trasmetterle non solo il suo amore ma anche la sua creativa passione per le viti.

Pochi anni dopo, nel 1805, il visionario e fragile François muore suicida e Barbe-Nicole che ha ereditato dal marito, oltre alla azienda vinicola, soprattutto la sua creativa passione, si oppone ostinatamente al suocero che ha già pensato alla sua vendita. E riesce a vincere.

Come madame Curie studia con tutte le sue forze la materia notte e giorno ed è lei che s’inventa la nuova formula del bere felice, il vino con le bollicine: lo champagne. Quello che si berrà poi in coppe. Che a cominciare dai russi dello zar, dove riuscirà ad arrivare in poche bottiglie nonostante l’embargo di Napoleone, conquisterà poi tutto il mondo.

Quel che racconta il film, che si ritrova in tanti articoli e scritti, è la vera storia della vedova Clicquot, leggendaria imprenditrice che dalla morte del marito si vestirà sempre in nero e cambierà il suo nome e quello del vino in Veuve Clicquot.

Il godibile Widow Clicquot è la migliore pubblicità che si possa fare oggi allo champagne tallonato attualmente in tutto il mondo dal successo del prosecco di Conegliano e dintorni dove invece si fanno bizzarre promozioni aziendali sovvenzionando gare di macchine in un’epoca in cui è proprio il bere in eccesso causa di gravi, mortali incidenti. E dunque ben poca gioia.