Dove hanno germogliato i semi sparsi da Ferlinghetti. Nel prezioso doc di Vicentini Orgnani (per esempio)
Arriva in sala dal 12 aprile (per Cinecittà Luce) “The beat bomb” di Ferdinando Vicentini Orgnani che per quindici anni ha raccolto una grande quantità di materiali su Ferlinghetti. Tra i meriti del bel documentario quello di non essere l’ennesima wikipedia della beat generation, ma piuttosto il racconto di quello che è stato il lascito umano del poeta nelle persone. Le immagini, i ricordi e le testimonianze sono usate come assunto per dimostrare quanto quei semi sparsi da Lawrence – e di quanti si faceva portavoce – abbiano germogliato e siano ancora vivi. Presentato al TFF40 …
Una delle cose che impressiona di Ferlinghetti, ben prima della sterminata biografia, sono gli occhi. Azzurri, quasi trasparenti, montati su un volto bonario da nonno affettuoso. Occhi dolci, senz’altro ma basta che li stringa un po’ perché diventino acuti e penetranti.
Verrebbe da dire quasi luciferini. Questa è una strettamente personale e marginale impressione che viene confermata dalla visione dei diversi documentari prodotti per celebrare prima il centesimo compleanno e poi, due anni dopo, la morte di Lawrence Monsanto Ferlinghetti.
E una volta di più sono gli occhi del poeta, dell’artista, del libraio, dell’editore, dell’agitatore (e quante altre cose ancora?) a bucare lo schermo ancor prima che a farlo siano le sue parole nel bel documentario The beat bomb realizzato da Ferdinando Vicentini Orgnani e passato fuori concorso al 40° Torino Film Festival nella sezione Ritratti e Paesaggi.
È a partire dal 2007 che il regista ha accumulato una considerevole quantità di materiali interessanti sul mondo di Ferlinghetti, sulla San Francisco poetica e libertaria che la contemporaneità sta cancellando a ritmo incalzante. Chi credeva che un altro mondo fosse possibile e voleva fare di San Francisco un manifesto dell’utopia realizzata, assiste oggi alla sua trasformazione totale in quella che è diventata la Mecca mondiale della speculazione immobiliare.
Gli yuppies della Silicon Valley in cerca di casa in zone pittoresche della città drogano i valori immobiliari al rialzo favorendo così l’espulsione degli storici abitanti a basso reddito, primo tra tutti il popolo bohémien che aveva in North Beach, nel Caffè Trieste, nel Caffè Vulcano e nella City Lights i propri punti di riferimento.
Quindici anni di lavoro riassunti in questo documentario dai molti meriti, primo tra tutti l’aver evitato volutamente l’ennesima celebrazione aneddotica e l’oleografia, astenendosi dal fare un’altra wikipedia della beat generation. Ma scegliendo di privilegiare una specie di voluta casualità nel raccontare il poeta che mostra soprattutto il lascito di un uomo nelle persone.
Le immagini, i ricordi e le testimonianze raccolte dalla viva voce di Ferlinghetti sono usate in questo doc prezioso come assunto volto a dimostrare come e quanto quei semi sparsi dal poeta – e di quanti si faceva portavoce – abbiano germogliato e siano ancora vivi. A San Francisco come a Lagoral, in Trentino, dove in apertura del film si riunisce un gruppo di amici e “devoti” italiani per leggere poesie e ricordare l’amico poeta. Ma anche a Roma dove Ferlinghetti, con Giorgio Albertazzi e Michele Placido, diedero vita ad un affollato reading al Teatro India intitolato Not like Dante.
È proprio nello scorrere delle immagini romane, mentre viene recitata la poesia, presente nella raccolta A Coney Island of the mind, i cui versi recitano Not like Dante discovering a commedia upon the slopes of heaven I would paint a different kind of Paradiso…, che si viene spinti a considerare il ruolo che, nel film, assume la figura ricorrente dell’amico poeta Jack Hirshman: un Virgilio che affianca il non-Dante nella diversa rappresentazione del Paradiso sognato da Ferlinghetti e popolato dall’affettuosa e un po’ pittoresca popolazione che Ferdinando Vicentini Orgnani ci consente di incontrare.
Ferlinghetti si considerava anarchico pacifista, libertario e umanista e, in un mondo che ha come cifra distintiva l’aridità e il cinismo, non può che essere considerato folkloristico chi pacificamente cerca di testimoniare la possibile esistenza di un altro mondo.
C’è in tutto questo un senso di dissolvenza che induce uno scoramento nel constatare come tutte le persone che hanno amato e in un modo o nell’altro condividono attivamente i valori di Lawrence Ferlinghetti hanno superato ampiamente l’età della giovinezza e che le opere, un tempo così vive e dirompenti, siano ora conservate nel Beat Museum di San Francisco come feticcio di un passato forse irripetibile.
Tuttavia Jack Hirschman nel film non si dice così sfiduciato sul futuro della poesia come strumento di lotta: oggi l’unica avanguardia possibile è rappresentata dai poveri perché stanno fuori dal sistema globalizzato. La tromba di Paolo Fresu che col suo quartetto accompagna malinconicamente lo svolgersi del film sembra la miglior sottolineatura del lento dissolversi di ciò che è stato e l’attesa per quello che verrà.
Gino Delledonne
Gino Delledonne
Architetto e docente universitario a contratto. Ha collaborato alle pagine culturali di vari giornali tra i quali "Diario" e "Archivio". Devoto del gruppo garage punk degli Oblivians.
9 Ottobre 2021
Una lacrima ma nessun rimorso. La battaglia per l’eutanasia nel film combattente di Jo Coda
Il nuovo film di Giovanni Coda, "Storia di una lacrima", al cinema Farnese di…
24 Gennaio 2019
Storia d’amore e di razzismo per le strade di New York. Nel segno di Baldwin
In sala dal 24 gennaio (per Lucky Red) "Se la strada potesse parlare"…
Recensione,Primo piano,Dal libro al film,13. Festa del Cinema di Roma 2018