Effetti della crisi. “Youtopia”, metti la verginità all’asta sul web

In sala dal 25 aprile (per Koch Media), “Youtopia” di Berardo Carboni, viaggio nell’universo del web, attraverso la doppia vita della diciottenne Matilda: da una parte la felicità col suo avatar e, dall’altra, la vendita del suo corpo per tentare di salvare la famiglia (nonna e madre) dalla bancarotta. Il regista di “Shooting Silvio”, offre un nuovo spunto di riflessione-provocazione sul contemporaneo …

Youtopia? A dire la verità, uscendo dalla visione di questo interessante film a me verrebbe da dire di aver assistito alla plastica rappresentazione di una distopia, una realtà che non ha nulla ma proprio nulla di buono. Ma, come si dice, il dibattito è aperto.

Protagonista vero di questo nuovo film di Berardo Carboni, (il suo provocatorio Shooting Silvio, sui vari modi di eliminare Berlusconi, fece parecchio parlare di lui nel 2007) è ancora una volta il web. Nel quale ci si può rifugiare per realizzare l’utopia appunto della felicità, amore, bellezza e via sognando, ma nel quale anche si può trovare l’inferno del peccato, del vizio, di ogni turpitudine possibile e immaginabile.

Ma andiamo con ordine. Nel web, in un gioco meraviglioso tutto luce e colori, e più in particolare in un gioco chiamato Landing, cerca rifugio la giovane Matilda (una convincente Matilda De Angelis, lanciata e scoperta nel 2014 da Matteo Rovere in Veloce come il vento, accanto a Stefano Accorsi) per affrancarsi da una realtà insopportabile. Poverina, vive infatti con nonna Anna, invalida e fuori di testa (Lina Bernardi) e soprattutto con la madre Laura (Donatella Finocchiaro) oberata dai debiti, all’inseguimento di una vita da vincente ma spiaccicata dalla realtà dell’ eterna perdente, che ormai rischia addirittura la proprietà della modesta casetta in cui vivono le tre donne.

Insomma ci sono tutti i motivi per cui la povera Matilde si rifugi nella realtà virtuale decisamente più accattivante (realizzazione Light &Color) nella quale, tramite avatar, intrattiene un dialogo che promette di sbocciare in amore con un tale Hiro, tanto per citare un po’ di Giappone che in materia ci sta sempre bene. Ma appena spento il computer e uscita dal videogioco e dal rifugio della cameretta ripiomba in un mare di guai e, non sopportandoli, cerca di porvi fine: (to be or non to be?).
E qui entra nuovamente in scena il web nel suo aspetto più negativo, distopico appunto, perché mostra tutto il peggio possibile dell’uomo e della società marcia che pure sotto la crosta del perbenismo e della convenzioni è in agguato in molti.

Signori, benvenuti negli ultimi gironi dell’inferno, il deep web, la parte profonda, oscura di un mondo a parte dove si possono annidare terroristi e assassini in caccia di vittime o, più prosaicamente, deviati e maniaci sessuali, disponibili a giochi estremi, che non si possono confessare alla luce del sole.

Matilde dunque si spoglia davanti alla telecamera, si accarezza, mugola, simula, per dare cibo agli assatanati segaioli che pagano a seconda il tempo che restano incollati allo schermo, sbavando, sussurrando frasi oscene eccetera eccetera. Un po’ di soldi arrivano, ma non bastano.

Cara mamma, spiega Matilde alla genitrice, sei una Milf, belloccia, fallo anche te, che raddoppiamo gli incassi! La sventurata rispose, direbbe il poeta, e ce la mette tutta, imbottendosi di alcol e pasticche per reggere alla vergogna. Ma non basta nemmeno questo, i debiti incalzano, la casa andrà all’asta, ormai sembra proprio la fine, anche la nonna è stata parcheggiata controvoglia in una squallida casa di riposo per risparmiare o per risparmiarle il rischio di trovarsi per strada.

E allora, ultima fermata nel deep web alla ricerca della soluzione estrema. È un percorso angosciante, carico di sofferenza che si trasmette agli spettatori, reso con grande efficacia in particolare da Donatella Finocchiaro che carica il suo personaggio di crisi, indecisioni, dolore, impotenza e fermare il macigno del fato che rotola verso una conclusione che non potrà essere che drammatica. Matilde mette in vendita se stessa, la sua verginità sopravvissuta alla finzione delle scene hard per battere cassa. E lancia un’asta, appunto sul deep web: a chi sborserà più soldi, l’onore della prima volta.

Si incrocia così, attorno al corpo di Matilde al migliore offerente, il destino delle due povere donne con quello di un farmacista zozzo e lurido, un sessantenne viscido e maiale che compra emozioni forti con giovani spregiudicate, sopportato da una moglie anch’essa farmacista, Fausta, un po’ lignea nella caratterizzazione che ne fa Pamela Villoresi.

Va detto che Alessandro Haber, nei panni del luridone Ernesto, è meno convincente del solito, quando sguazza in personaggi imbranati, in crisi, quasi balbuzienti che parlano con gli occhi bassi e con la voce roca. Ma il personaggio è così negativo e suscita tanto ribrezzo, mentre sbava davanti al faccino pulito di Matilde, e che si porta appresso, per gli incontri poco amorosi una misteriosa valigetta piena di ammennicoli da porno shop (chi si ricorda la scatoletta misteriosa del cliente di Catherine Deneuve in Bella di giorno?) che non si può non odiarlo. Un ribrezzo che cresce via via e che trova il culmine nell’incontro con la madre consenziente ma dolente, piena di rimorsi, dilaniata dai sensi di colpa per aver dato via libera all’asta e per aver perfino cucito l’abito di scena per la figlia che si immola.

Non vi diciamo come va a finire. Solo che i 92 minuti di film volano letteralmente, tanta è la tensione che carica la molla dell’attesa della fine. La storia è intrigante. Gli attori sono bravi. Bella la colonna sonora. Educativo, per chi non lo sapesse, lo sguardo disincantato sulle diverse valenze del web. Eppure il sapore che ci si ritrova in bocca è decisamente nauseabondo. E viene da domandarsi, (domanda demagogica se volete ma sgorga dal cuore di un non più giovane) dato che il film, in sala dal 25 aprile, è destinato al 48esimo festival del cinema per ragazzi di Giffoni, quanto deve essere turpe un film per essere considerato per adulti?