Elogio dell’ambiguità. “Il caso Belle Steiner” al cinema, il regista Benoît Jacquot sotto inchiesta
In sala dal 13 marzo (per Europictures) “Il caso Belle Steiner” di Benoît Jacquot ispirato al giallo di Georges Simenon del 1952. Il regista francese sotto inchiesta per abusi sessuali, dopo la denuncia dell’attrice Judith Godrèche, attualizza il noir del papà del Commissario Maigret, ambientando ai giorni nostri la bufera mediatica che sconvolgerà la vita di un prof – e sua moglie- accusato dell’omicidio di una ragazza. Jacquot sceglie di mantenere l’ambiguità fino all’ultimo: “la verità è inconoscibile, come il mondo in cui viviamo”. Vedremo cosa diranno i giudici …
È la banalità della provincia trasformata in un labirinto di sospetti e accuse che mette in scena il cineasta francese Benoît Jacquot in Il caso Belle Steiner, libero adattamento del romanzo La morte di Belle (1952, trad. it. Adelphi 1995 di Laura Frausin Guarino, pp.183) del celebre e talentuoso inventore del Commissario Maigret, il belga Georges Simenon (1903 – 1989), autore di un’opera immensa che ha ispirato più di 170 adattamenti cinematografici e televisivi.
Simenon redasse il racconto in dieci giorni a Shadow Rock Farm, in un sonnacchioso sobborgo di Lakeville nel Connecticut, dove viveva all’epoca, e lì si svolge l’azione originaria. Si tratta di uno dei grandi “romanzi dell’ossessione” di Simenon: ossessione di essere osservati, giudicati, costretti dagli altri a rivestire un ruolo, anche quello di un assassino.
Più che un thriller, Jacquot – già autore di L’ultimo amore di Casanova, Gli amori di Suzanne Andler o Eva per citare i suoi letterari – ci propone un contemporaneo film noir, che affronta temi attuali e centrali nella società di oggi: la presunzione di innocenza, il processo mediatico, il giudizio popolare e la maniera in cui un evento straordinario può sconvolgere la vita tranquilla e abitudinaria di un insegnante di matematica al liceo (Pierre Constant, magistralmente interpretato dalla star Guillaume Canet) in apparenza irreprensibile.
Tematiche, fatalità, che lo stesso regista sta vivendo in prima persona a seguito della denuncia per abusi sessuali mossa contro di lui dall’ attrice Judith Godrèche (che accusa anche Jacques Doillon), per cui è stato messo sotto inchiesta dai giudici di Parigi. Tanto che in Francia è stata fatta slittare l’uscita del film e Guillaume Canet ne ha preso le distanze.
Pierre e sua moglie Cléa (la pluripremiata Charlotte Gainbourg), proprietaria di un negozio di ottica, vivono in una cittadina della provincia francese. Proprio per l’universalità delle storie narrate da Georges Simenon, Jacquot – anche sceneggiatore, con Julien Boivent – ha voluto ambientare il suo film nella Francia dei giorni nostri, invece di lasciarlo negli Stati Uniti degli anni ’50; come protagonista maschile ha scelto un attore in grado di dimostrare una certa ambiguità, un personaggio insondabile, in un mondo inquietante come Guillaume Canet.
La coppia ospita la diciottenne Belle, figlia di un’amica e l’equilibrio della loro quotidianità si trova sconvolta quando la ragazza viene trovata strangolata nella loro casa. Poiché Pierre era l’unico presente nell’abitazione al momento della tragedia e diventa pertanto il principale indiziato. Pur nell’assenza di prove che dimostrino la sua colpevolezza, subisce interrogatori umilianti, l’ostracismo dei colleghi e persino degli studenti, nonché l’ostilità dei residenti della cittadina, dove tutti sanno tutto.
Così come nel romanzo di Simenon, Belle era oggetto di discorsi morbosi per la sua condotta libertina, sfuggendo così alla retorica della “brava ragazza”, facendo sì che il pregiudizio più comune vedesse in lei una “vittima ideale” su cui costruire narrazioni ricattatorie. Settant’anni orsono, come ancora oggi, la vittima viene colpevolizzata per le sue abitudini sessuali.
Mentre nella mente dei più risuona la stessa domanda: “chi ha ucciso Belle?”, lui si mostra apatico, incapace di reagire alla situazione, messo alla prova da una realtà che non sembra dargli scampo. Soltanto la devota moglie Cléa rimane al suo fianco, pur interrogandosi sulla passività del marito. La fotografia, a tratti buia e cupa, riflette il tormento interiore dei protagonisti e l’ambiente ostile in cui sono costretti a confrontarsi con la propria coscienza e con l’altrui giudizio.
L’immergersi nei pregiudizi della società americana degli anni ’50 conferisce al romanzo di Simenon una dimensione particolare, specie nella sua descrizione della comunità puritana in cui le apparenze hanno la meglio sulla verità. La pubblicazione del libro negli Stati Uniti nel 1954 suscitò scalpore fra gli abitanti di Lakeville: l’assassinio di Belle funge da catalizzatore per svelare l’ambiente soffocante, la superficialità dei rapporti sociali, descrizione tanto esatta da far affermare ad alcuni colleghi statunitensi che “ci dà i brividi”.
Il libro, così come il film, risulta un racconto avvincente e inquietante su come un episodio possa trasformare una persona inappuntabile nel bersaglio di un’intera comunità: “Simenon non ha mai smesso di esplorare il tema della colpa contro l’innocenza e il mondo che lo circonda – spiega il cineasta al centro della bufera mediatica e giudiziaria – e prosegue “questo, senza dubbio, spiega almeno in parte perché così tanti dei suoi romanzi siano stati adattati per il grande schermo, come se il potere del cinema potesse amplificare l’oscillazione quasi meccanica tra l’ordinario e lo straordinario, il peculiare e il banale”. Jacquot sceglie di mantenere l’ambiguità fino all’ultimo e modifica parzialmente il finale: “la verità è inconoscibile, come il mondo in cui viviamo”. E nel suo caso, al centro della nuova onda del #MeToo francese vedremo come andrà a finire. Intanto in chiusura di film un disclaimer avvisa che la produzione condanna qualunque tipo di violenza sulle donne e sui minori.
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