Fela Kuti, la nostra magnifica ossessione. Daniele Vicari illumina l’estate dell’afrobeat e arriva in sala

In sala dal 21 marzo (per LUCE CINECITTA’) “Fela, il mio dio vivente” nuovo lavoro di Daniele Vicari dedicato a Fela Anikulapo Kuti, il leggendario padre dell’afrobeat, attivista politico carismatico e ribelle. Ma anche il racconto della magnifica ossessione di un giovane videoartista della scoppiettante movida romana dei primi anni Ottanta, Michele Avantario che lo inseguì tutta la vita per fare un film su di lui. Ora quel film c’è, realizzato dall’autore di “Orlando” ed è un’opera formidabile proprio perché non è semplicemente un doc sul “Black President” ma anche il ritratto di una generazione e un momento di creatività più forte di qualunque lettura in chiave “riflusso”, una stagione di fortissima vitalità culturale e sociale. Presentato alla Festa di Roma 2023 …

Questo non è un film su Fela Kuti. Questo è un film sull’amore per Fela Anikulapo Kuti, per il leggendario “Black President” della musica africana, cantante, sassofonista, tastierista, attivista politico carismatico e ribelle come non se ne sono più visti, una vita incredibile finita troppo presto, che potrebbe riempire decine di film e comunque non esaurirsi.

Ma Fela, il mio dio vivente di Daniele Vicari (il regista di Diaz e Orlando) da lui scritto con Renata Di Leone e Greta Scicchitano, presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione FreeStyle, è un’opera formidabile proprio perché non è semplicemente un documentario sul padre dell’afrobeat.

Anzi, è soprattutto la storia di come, molto lontano da Lagos, un giovane videoartista della scoppiettante movida romana dei primi anni Ottanta perse la testa per lui e inseguì per tutta la vita il sogno di fare un film su Fela. Michele Avantario era un volto famigliare nella Roma trendy dei videobar e delle serate new wave, impossibile non notarlo; aveva un gran ciuffo cotonato di capelli che lo faceva somigliare a James Chance dei Contortions, e l’aria di un video artista appena sbarcato dalla No New York di Dna e Lounge Lizards.

Era nato nel ’52, oggi si sentirebbe dare del boomer; lo si vede coi capelli lunghi, le giacche di velluto, in filmini d’epoca in giro per le boutique della Swingin’ London, a rimpolpare la sua collezione di centinaia di album rock e jazz (che qualcuno poi gli rubò in blocco); a respirare “aria di rivoluzione”, come dice lui, nelle tumultuose piazze degli anni Settanta, anche se la politica non lo appassionava, era più la voglia di una vita non conforme.

Michele cercava da sempre “qualcosa di sconosciuto, di misterioso, qualcosa che mi portasse via dal posto in cui ero”. Nel film ha la voce narrante di Claudio Santamaria (Avantario non c’è più da anni), pacata, come se stesse appuntando tutto su un diario, a volte con un pizzico di ironia.

Quando il viaggio comincia, Avantario/Santamaria avverte: per capire bene questa storia dovete fare due cose, la prima è ascoltare la musica di Fela; la seconda è procurarvi della marijuana e fumarla senza tabacco come si usa in Nigeria. A rendere prezioso il film di Daniele Vicari è la gran quantità di materiali e filmati d’archivio – riguardanti entrambe i due eroi di questa storia -, assemblati con un lavoro certosino di ricerca attraverso ben 47 fonti diverse, con l’apporto fondamentale di Renata Di Leone che è stata la compagna di Avantario (e fa una tenerezza immensa vederla giovane nei filmini che lui innamorato perso non si stancava mai di farle).

Sono strepitosi gli spezzoni d’epoca del primo tour italiano di Fela, che girava con al seguito praticamente una città, ottanta persone tra musicisti, tecnici, amici, le 27 mogli che erano poi le sue coriste e ballerine – le sposò “per farne tutte delle regine” nel primo anniversario del raid che i militari del regime nigeriano avevano fatto nella sua comune di Kalakuta nel ’77, uccidendo la madre del musicista e stuprando e seviziando le donne del gruppo, ed è bello che il film lo ricordi perché sulle famose 27 mogli c’è sempre stata troppa mitologia folkloristico-machistica.

Quando arrivò la prima volta in Italia, nel 1980, venne arrestato all’aeroporto di Milano perché nei bagagli c’erano 43 chili (43!) di marijuana; per sfamare e alloggiare il suo seguito in una specie di grande casale, l’impresario del concerto andò quasi in bancarotta, ma le immagini in bianco e nero tra le regine che cucinano e gli altri sbracati in giro a fumare e strimpellare, sono straordinarie.

Michele racconta la storia di Fela, tra i viaggi in America, l’incontro con le Black Panthers, la presa di coscienza polticia, i concerti, le serate nel suo mitico club New Afrika Shrine, i rituali animistici, i figli piccoli, i rari momenti filmati nella sua comune dove però era vietato filmare; la voce bellissima che riflette su come l’Africa è stata depredata, sull’inganno della democrazia (“demo-cracy… or maybe crazy-demo…”), la necessità del panafricanismo.

E la storia di Fela però diventa anche la storia di Michele, che a sua volta diventa il ritratto di una generazione e un momento di creatività più forte di qualunque lettura in chiave “riflusso”; la sua passione per la video arte, l’incontro con Nam June Paik, quello con Renato Nicolini per l’Estate Romana, le serate al Macumba club, le collaborazioni con Theo Eshetu, rievocano una stagione di fortissima vitalità culturale, sociale.

E su tutto, i suoi mille viaggi a Lagos, perché “se vuoi fare un film su di me” gli diceva Fela, “se vuoi capire chi sono, devi venire in Nigeria”. Più ci andava, più difficile diventava tornare alla vecchia realtà di Roma o Milano, ai bei salotti borghesi delle nostre vite pacificate attorno alle torte di compleanno e le foto di famiglia.

Avantario osò l’impossibile e riuscì persino a recuperare le bobine (ma senza audio) del girato di Black President, il film perduto su Fela Kuti; per riuscire a realizzare il suo progetto arrivò anche alla Motown Records, coinvolse Bernardo Bertolucci, non si perse mai d’animo a fronte di mille avventure e disavventure che potrete scoprire da voi vedendo il film.

Fela, il mio dio vivente alla fine è una storia su come valga la pena farsi portare lontano dalle proprie passioni, lasciare anche che diventino ossessioni, e un questo fa venire in mente il Don Chisciotte rincorso per una vita da Terry Gilliam. È anche una storia sulla potenza dell’esperienza, degli incontri, del prendere e andare a vedere di persona come vanno le cose al mondo.

Fela Anikulapo Kuti è morto nel 1997, Michele Avantario nel 2003, come ricorda un’epigrafe a fine film firmata da Geoff Dyer, lo scrittore di Natura morta con custodia di sax (1991), forse il più bel libro mai scritto sul jazz. Michele sarebbe stato orgoglioso di sapere che Dyer, in una recente antologia di narratori, Contemporaneo Occidentale (Il Saggiatore, 2022), ha voluto intitolare il suo racconto, ricordo di notti romane e di una vacanza italiana: Omaggio a Michele Avantario.