Il fascino violento dei non-luoghi. Se metti Edward Hopper nel noir cinese

In sala dal 13 febbraio (per Movies Inspired), “Il lago delle oche selvatiche” dell’acclamato regista cinese, Diao Yinan già Orso d’oro per “Fuochi d’artificio in pieno giorno”. Un affascinante noir che a partire da Wuhan – la città salita tristemente alla ribalta per il corona virus – inscena lo scontro tra bande criminali, offrendo come scenari i non-luoghi della periferia urbana. Tra Orson Welles e i quadri del pittore Edward Hopper …

Anche in questo suo secondo film, dopo l’Orso d’oro, Diao Yinan mostra l’altra Cina: quella delle fabbriche, della prostituzione e delle bande criminali, dei “non-luoghi” della periferia urbana. Tra le famiglie di malviventi in conflitto tra loro, vige l’antica legge del jiang hu e cioè il senso dell’onore che caratterizza le contese mafiose.

Di fatto, molti degli ultimi film cinesi hanno la caratteristica di mettere in luce spazi poco noti del loro paese. Ad esempio, Al di là delle montagne di Jia Zhangke del 2015 e Fuochi d’artificio in pieno giorno del 2014 dello stesso Diao Yinan , mostrano entrambi luoghi operai, da un lato la città di Fenyang, una piccola città di provincia nello Shanxi, e dall’altro i quartieri/città nati attorno alle miniere di carbone nel Nord della Cina.

Qui, ne Il lago delle oche selvatiche, il regista torna al crime movie attraverso lo sguardo di una donna – una “signorina” del lago – che ci fa addentrare in una umanità violenta, in un sottobosco delinquenziale. La zona della vicenda è proprio la città salita tristemente alla ribalta per il corona virus: Wuhan.

Esteso e popoloso capoluogo della provincia di Hubei, Wuhan è un polo commerciale attraversato dallo Yangtze River (il Fiume Azzurro) e comprende verso Sud numerosi laghi e parchi. L’area rappresentata nel film è meno sviluppata urbanisticamente e presenta ancora delle enclaves rurali.

Sarà presto una zona di espansione urbana così come mostrano dei giganteschi billbords. La durezza della vita attuale di questa zona periferica si amplifica con la violenza delle storie delle uccisioni.

Zhou Zenong (interpretato dal noto cantante e attore televisivo Hugh Ge) – uscito da poco dalla galera – è un gangster ferito e in fuga perché ha ucciso accidentalmente un poliziotto scambiandolo per un membro del clan rivale di motociclisti. Incontra Liu (interpretata da Lun-Mei Kwei), una femme fatale inviata in sostituzione della moglie (interpretata da Wan Qian). Braccati dalla polizia i due raccontano le reciproche storie di violenze in flash back e Zhou vorrebbe che Liu lo denunciasse per far incassare alla moglie la cospicua taglia di 300.000 yuan. Nel classico poliziesco nasce dunque una strana storia intrecciata di sospetto e di attrazione.

Molte sono le scene violente – dalle decapitazioni agli ombrelli usati al posto dei coltelli – alla cui frequenza il cinema orientale ci ha abituato. Il clima è di un continuativo addestramento alla brutalità, e allo spietato tradimento. Le mogli devono tradire i mariti, gli amici i vecchi compagni, e così via. Alla fine sarà solo la prostituta a mantenere la parola data.

Il lago delle oche selvatiche offre delle splendide inquadrature e intere sequenze costruite sulle ombre, riprende i corpi sudati che s’incontrano, poi il sangue, la pioggia, lo sperma, il lago. I movimenti di macchina sono lenti e si contrappongono a un montaggio serrato e incalzante.

Bella è la caccia notturna dei poliziotti sul prato con ai piedi le suole fosforescenti delle sneakers.
Diao Yinan  nel suo primo film aveva già mostrato i riferimenti al cinema di Jia Zhangke e di Wong Kar-wai (In the Mood for Love del 2000), mentre in questo suo caotico e notturno noir sono evidenti alcune suggestioni visive di certo cinema occidentale: l’Orson Welles de La signora di Shanghai e il Godard di Fino all’ultimo respiro.

Il regista pone spesso le sue figure in spazi vuoti illuminati da una luce cruda per accrescere l’angoscioso senso di solitudine e d’isolamento che pervade alcuni locali anonimi. Talvolta sono gli spazi collettivi come i ristoranti, la pista del ballo, il luna park con la sua ruota, e gli alberghi spesso semideserti.

Ambienti che comunicano squallore e depressione, evocando certi quadri del pittore statunitense Edward Hopper, di cui è stato detto che sapeva “dipingere il silenzio”. Molti dei suoi soggetti, infatti, sono proprio i luoghi urbani desolati, uno sfondo cittadino o gli interni con gli intonaci scrostati. Vari registi si sono ispirati a lui, perfino Wim Wenders nelle inquadrature di Non bussare alla mia porta presenta un esplicito nesso con i suoi quadri nel senso di sospensione e di perdita di punti di riferimento, come del resto ha dichiarato lui stesso.