Ines e Rafik, la forza di essere fratelli. “Rue Garibaldi” vince il Working Title Film Festival 2022
È “Rue Garibaldi” di Federico Francioni il vincitore di Working Title Film Festival di Vicenza. Il documentario segue i fratelli, metà tunisini e metà siciliani, che vivono nella banlieue parigina tra lavoro precario e grandi speranze. Un affresco complesso e potente, un film che piacerebbe a Kechiche…
“Non fare la linguaccia, è volgare”. Un fratello e una sorella nella loro casa comune si interrogano sull’uso più opportuno di Tinder, la app di dating per rimorchiare più famosa del mondo. Tutto normale: sono due ragazzi di oggi. Ma non proprio: Ines e Rafik hanno vent’anni e lavorano già da dieci.
Vivono nella periferia di Parigi, o per meglio dire nella banlieue. Sono i protagonisti di Rue Garibaldi di Federico Francioni, il film già vincitore della sezione documentari del Torino FilmFestival, che viene ora presentato al Working Title Film Festival, la kermesse dedicata a cinema e lavoro in corso di svolgimento a Vicenza.
Di lavoro ce n’è molto nella storia di Ines e Rafik, questi due post-adolescenti di origini tunisine, cresciuti in Sicilia (e infatti parlano siciliano), ora emigrati a Parigi per cercare un posto nel mondo. Rafik passa da un lavoretto all’altro, accarezzando la possibilità di mettere da parte soldi sufficienti per aprire un suo ristorante in Tunisia domani.
È tenace, non si arrende di fronte alle difficoltà, anche se talvolta irrompono momenti di sconforto: non passa l’esame per Uber e scoppia a piangere, è la sorella a consolarlo. Perché, come spiega il regista, Ines e Rafik sono l’uno lo specchio dell’altro. Seppure così giovani, hanno creato un meccanismo intimo e privato di sostegno a vicenda: sanno che il mondo intorno non accorderà loro solidarietà quindi contano solo su se stessi, sono un doppio corpo intrecciato. La complessità di vivere trova anche il suo rovescio, ovvero i momenti più chiari: Ines è raggiante dopo un colloquio di lavoro positivo, lo “festeggia” insieme al fratello in una delle sequenze più potenti del film.
Federico Francioni entra nelle loro vite, nella loro casa: in Rue Garibaldi, appunto. Trascorre tempo con loro e posiziona il suo obiettivo, in attesa di trattenere i momenti più significati e le immagini simboliche di questa vita a due. Ecco allora che, attraverso la pazienza del documentarista, gli elementi emergono naturalmente, nella loro semplicità, nel quotidiano: ecco gli impieghi umili, come cuocere hamburger e patatine, le minuzie dei giorni, il cellulare e le videochiamate, le piccole storie d’amore come quella di Rafik. E si costruisce, anche, il ritratto di due veri apolidi, figli del contemporaneo: ragazzi senza patria, o con due patrie (forse tre), molto legati tra loro quasi come forma di sostentamento.
Da una parte ci sono i sogni, come sempre, le ambizioni e le ipotesi, dall’altra la realtà. I desideri si scontrano con un mondo precario, incerto, che costringe i giovani a un movimento sempre ondulatorio, in balia della corrente, mai definito del tutto, non in grado di organizzare il prossimo futuro. Ma la loro forza, come detto, sta nell’essere fratelli.
Francioni è un regista esattamente calato nell’oggi: dimostra di aver studiato sui banchi dai maestri (Wiseman e Dardenne soprattutto), ma il discorso che porta avanti è unico e peculiare. E arriva con forza fino all’emozione: la parabola dei fratelli tunisino-siciliani offre un cocktail linguistico in cui tutto si mescola, quasi a formare un individuo nuovo, ma ciò che resta saldo è sempre l’amore. Un film che piacerebbe a Kechiche.