La letteratura sulla città. Addio Raffaele La Capria lo scrittore ferito (a morte) da Napoli
È morto a Roma nella notte del 27 giugno Raffaele La Capria, scrittore, giornalista, sceneggiatore. Tra le voci più significative della letteratura italiana del secondo ‘900 avrebbe compito 100 anni a ottobre. Ha scritto per il cinema, co-sceneggiando “Le mani sulla città” (1963) e “Uomini contro” (1970) di Franco Rosi, ha collaborato con Lina Wertmüller alla sceneggiatura del film “Ferdinando e Carolina” (1999). Premio Strega per “Ferito a morte” è stato il grande narratore dei vizi e le virtù della sua città, Napoli …
È morto a Roma Raffaele La Capria. Aveva 99 anni.
Lo scrittore di Ferito a morte, Premio Strega nel 1961, viveva a Roma dagli anni ’50 del secolo scorso.
Nato il 3 ottobre 1922, La Capria era cresciuto a Napoli nello splendido, monumentale palazzo Donn’Anna eretto da Cosimo Fanzago intorno alla metà del ‘600, immerso per tre lati nel mare di Posillipo, come una nave di pietra e di tufo con le sue volte ad arco, appena varata e in attesa di prendere il largo.
E proprio usando come trampolino le terrazze di questa meraviglia architettonica, Dudù, come lo chiamavano gli amici, si tuffava nelle acque del golfo avendo di fronte la silhouette di Capri, sulla destra la collina di Posillipo, sulla sinistra lo skyline della costa sorrentina e il cono del Vesuvio e, alle spalle, il ronzare febbrile della vita della città.
Forse partendo da questa posizione geografica di una Napoli “alle spalle” si può, non dico comprendere perché le pulsioni e i turbamenti di un artista non necessitano di comprensione, ma almeno affacciarsi a spiare il suo mondo per simpatizzare (dal greco sun-pateo= soffrire insieme) con l’artista.
Raffaele La Capria era figlio della buona borghesia napoletana, così come tutti i suoi migliori amici e tutti destinati a carriere di primo piano nei rispettivi campi d’azione: Antonio Ghirelli, Massimo Caprara e Maurizio Barendson, nel giornalismo; Francesco Rosi (con il quale aveva scritto nel 1963 Le mani sulla città e si era aggiudicato, assieme a Rosi regista del film, il Leone d’Oro al Festival di Venezia, per la migliore sceneggiatura) e Giuseppe Patroni Griffi, nel cinema e teatro; Giorgio Napolitano (futuro Capo dello Stato) e Francesco Compagna, nella politica.
La buona borghesia del tempo odiava e condannava, quasi con furore, tutte le manifestazioni folcloristiche e popolari che erano parte integrante della vita e dei costumi delle classi meno agiate.
Addirittura li consideravano vizi plebei, forse ricordando la plebe del 1799 che, al seguito dei Sanfedisti del Cardinale Ruffo, aveva sgominato la neonata Repubblica napoletana trucidando la parte migliore dell’aristocrazia partenopea.
Uno dei classici corto-circuiti storici all’interno dei quali la parte più sfruttata e sottomessa della società, si batte, e spesso muore, a fianco, e a sostegno, di chi vuole mantenerli in schiavitù.
Raffaele La Capria aveva definito Napoli, nel suo Ferito a morte: “una città che ti ferisce a morte o t’addormenta, o tutte e due le cose insieme”.
Ma il suo rapporto con Napoli non può essere racchiuso nella banale definizione di “amore e odio”. Forse si avvicinava di più al rapporto di un figlio con una madre santa e puttana allo stesso tempo.
Una madre che ti abbracciava con tale passione da rischiare di soffocarti e che, in ogni caso, ti “feriva a morte”.
E lo stesso sentimento lo nutriva verso i napoletani:
“Il napoletano che vive nella psicologia del miracolo, sempre nell’attesa di un fatto straordinario tale da mutare di punto in bianco la sua situazione. L’aspetto ambiguo dell’umanità del napoletano con la sua antitesi di miseria e commedia, di vita e teatro. Le due Napoli, una la montatura e l’altra quella vera. La Napoli bagnata dal mare e quella dove il mare non arriva, il Vesuvio e il contro-Vesuvio. Eccetera eccetera, …Passano il tempo a coccolare e calcolare mistificazioni del genere, a venderle al maggiore offerente, a chiedere comprensione e ammirazione come se esigessero un credito, con un’aria imbarazzata e altezzosa. ….Scontano un destino più forte di loro, pagano anche per gli altri napoletani la colpa di aver fatto di se stessi una leggenda. Di sfruttare questa leggenda. Di crederci, di nutrirla con la propria vita. Di cercare in essa l’assoluzione da ogni condanna, il riposo della coscienza inquieta, l’enorme straripante indulgenza della Gran Madre Napoli. La Gran Madre? Dì la Gran Gatta piuttosto, che alla fine se li pappa senza nemmeno dargli il tempo di aprire gli occhi sopra il mondo.”
E proprio per sfuggire alle grinfie di colei che definiva la “Gran Gatta”, Dudù si trasferì a Roma nei primi anni Cinquanta.
Ma il rapporto di un napoletano con Napoli, non può essere liquidato come un rapporto estivo nato nell’azzurro mare d’agosto.
Ragione per cui, tutta la produzione artistica di La Capria, amore o odio, insofferenza o abbandono, calma piatta o tempesta, risolto o irrisolto, è, e resterà, sempre e comunque, indissolubilmente legata alla Città coi suoi umori, coi suoi sapori, coi suoi odori, col suo sangue e la sua carne.
Nino Russo
Regista, sceneggiatore e drammaturgo. Tra i suoi film "Da lontano" (1972); "Il giorno dell'Assunta" (1977); "L'ultima scena" (1987); "Fondali notturni" (2000). E i film collettivi: "Un altro mondo è possibile" (2001), "La primavera del 2002 - L'Italia protesta, l'Italia si ferma", "Scossa" (2011).
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