L’Alien russo (campione d’incassi) si chiama “Sputnik”. E sbarca su Rai4

Rai4 manda in prima visione assoluta il vincitore dello Science+Fiction Festival di Trieste, “Sputnik” di Egor Abramenko. In Russia ha fatto sfracelli d’incassi, soprattutto, on demand sulle locali piattaforme tv dove ha superato il milione di streaming e ha già “invaso” anche le sale americane. È una sorta di “Alien” in formato russo il cui titolo evoca lo storico satellite lanciato dall’URSS che di questi tempi è tornato in auge sotto forma di vaccino anti-Covid, sperimentato persino dalla figlia di Putin …

Sputnik, in russo, si scrive così: спутник. Nel 1957 lo Sputnik divenne il primo satellite artificiale lanciato dall’Urss e aprì la corsa allo spazio. Ma il significato traslato del termine è anche quello di «compagno di viaggio». La parola – con tutto il suo portato storico – è tornata alla ribalta da quando Vladimir Putin ha annunciato che la Russia ha pronto il vaccino anti Covid 19 – battezzato proprio Sputnik – e che la sperimentazione sugli umani ha funzionato (compresa la prova del nove, sbandierata dal leader russo, fatta sulla propria figlia).

Il caso vuole che спутник, Sputnik, sia anche il titolo che campeggia sul manifesto del film diretto da Egor Abramenko, che sta facendo sfracelli d’incassi (nelle sale russe ma, soprattutto, on demand sulle locali piattaforme tv dove ha superato il milione di streaming). E che arriva negli Usa, dopo aver «fallito», causa Covid, il debutto al Tribeca Film Festival di quest’anno. Chissà che non arrivi anche da noi, magari su Netflix, Amazon Prime, Chili o quant’altro. Intanto si è guadagnato il Premio Asteroide al Science+Fiction Festival di Trieste.

Il satellite, lanciato il 4 ottobre del 1957, però non c’entra col film. Siamo nel 1983 (ma l’Urss c’è ancora) e a essere lanciati nello spazio, questa volta, ci sono due cosmonauti che rientrano drammaticamente a terra nel cuore della notte. Uno orrendamente mutilato e l’altro che non ricorda nulla di quanto è accaduto. Ovviamente viene prelevato dai militari e rinchiuso in quarantena in una base segreta, senza capire bene le ragioni della sua detenzione. Che si manifestano di notte, quando dal suo corpo vomita fuori una viscida creatura dai denti acuminati e digrignanti che va in cerca di cibo.

Come avrete capito siamo dalle parti di Alien in formato russo, condito con una dose di critica politica verso la nomenclatura militare e la burocrazia sovietica. A combattere l’alieno, anche qui, c’è una donna – come la Ellen Ripley/Sigourney Weaver del capolavoro di Ridley Scott – ovvero la dottoressa Tatiana Yuryevna Klimova, interpretata da Oksana Akinshina, che cerca di salvare Konstantin, il cosmonauta sopravvissuto e posseduto (interpretato da Pyotr Fyodorov) e che si oppone al colonnello Semiradov (Fëdor Bondarchuck, anche produttore) che vorrebbe sfruttare la potenza dell’alieno, anche a costo della vita di Konstantin.

Nel trailer di Sputnik (vedi qui) in un serrato scambio di battute il bieco colonnello sovietico alle obiezioni della dottoressa che teme per la vita del cosmonauta-eroe, replica che «l’eroe sovietico è preparato a tutto, compreso il sacrificio di se stesso».

Costato, al cambio, 2 milioni e mezzo di dollari, Sputnik è qualcosa di più di un B-movie. E se non osa nel portare a fondo e in maniera diretta la critica al sistema, lo fa comunque attraverso lo scandaglio psicologico e dei sentimenti dei personaggi. Di più riesce a mantenere una buona tensione pur rinunciando agli abusati ritmi adrenalinici del genere, sfornando comunque buoni effetti speciali.

Egor Abramenko è al debutto nel lungometraggio e questo suo film sviluppa un suo precedente corto intitolato The Passenger. Ancora un inquietante passeggero parassita, un cattivo compagno di viaggio o, peggio, un virus letale come il Covid 19. Nonostante il vaccino di Putin.