“L’altra Grace”, tutti i peccati del puritanesimo. Nella serie (femminista) da Margaret Atwood
“L’altra Grace” in onda su Netflix, dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood, ispirato ad un caso di cronaca nera dell’800. Una poverissima e giovanissima cameriera di origini irlandesi condannata per un duplice omicidio e poi scarcerata dopo quasi trent’anni. L’ambiente violento, oppressivo e maschilista del Canada puritano e il racconto in prima persona, ipnotico e ambiguo della ragazza. Una sontuosa Sarah Gadon, diretta da Mary Harron, regista di American Psycho. Da non perdere …
Chi è in realtà Grace Marks, sedicenne nordirlandese, condannata a morte (pena commutata poi in 30 anni di carcere) per il brutale assassino del suo “padrone” e della governante e amante di lui, delitto compiuto, a sentire i giudici, insieme allo stalliere della fattoria.
Una giovane donna priva di scrupoli pronta ad irretire ogni uomo, oppure una pura e innocente fanciulla condannata da un sistema dai principi (in)sani che deve trovare il male ovunque, soprattutto nel femminile, per giustificare i propri peccati ?
Il libro di Margaret Atwood, L’altra Grace (Ponte alle Grazie), come anche la miniserie in sei puntate diretta da Mary Harron e scritta da Sarah Polley, opera una spietata e lucida e fredda e straordinaria e intensa analisi della società canadese d’inizio Ottocento, ancora sotto il grigio giogo dell’impero britannico.
Un mondo di “lumi spenti” in cui si avvertono ancora gli influssi dei primi padri pellegrini e l’oscurantismo religioso, in cui il puritanesimo riesce a celare a malapena la condanna implicita, a priori della donna, destinata – soprattutto – a soffrire e servire incondizionatamente l’uomo.
È in questo contesto che irrompe, arrivando dall’ Irlanda, la giovane Grace Marks, primogenita di otto fratelli che, nella “terra promessa” si vedrà costretta a diventare la sguattera della sua stessa famiglia in seguito alla prematura morte della madre.
Cacciata di casa dal padre alcolista e mandata a servizio per sostenere i suoi, Grace scoprirà da subito le brutalità del mondo. Con le sue feroci differenze di classe, i ricchi padroni che seducono le giovani cameriere, le morti di aborto, gli amori fasulli e a compensare tanta solitudine, la religione. A cui Grace si aggrappa in modo ossessivo e quasi folle.
Sarà il passaggio sotto un nuovo padrone a portare la ragazza verso il suo funesto destino. Nella nuova casa, infatti, Grace si troverà invischiata in uno strano ménage in cui la governante è l’amante dell’attempato (ma assai piacente) signorotto, impenitente scapolo e donnaiolo.
Accusata della morte di entrambi, insieme allo stalliere della casa (lui sì sarà condannato al patibolo), la giovanissima domestica si ritroverà in carcere e poi in manicomio, sospettata di insanità mentale. Così che il suo caso – realmente accaduto nel 1843 – dividerà l’opinione pubblica. Ad ascoltare le sue ragioni – la ragazza si dichiarò sempre innocente – viene ingaggiato dagli innocentisti il dottor Jordan di fronte al quale comincia la lunga “confessione” di Grace.
Un percorso a ritroso nel tempo per un iter narrativo non nuovo ma di sicuro effetto, in cui il personaggio della ragazza cresce attimo dopo attimo, rivelazione dopo rivelazione, in un gioco di ambiguità e tensione in cui assistiamo col fiato sospeso al suo drammatico annientamento fisico e psicologico, mostrato attraverso una cieca spirale di violenza.
Violenza di un mondo retrivo e maschilista che si esplica con una fotografia spenta, dai toni quasi seppia. Dove governa la sopraffazione nei confronti dei più deboli e le donne sono all’ultimo posto nella scala gerarchica e nella “catena alimentare”: solo merce da usare e consumare frettolosamente.
Una sopraffazione che si manifesta attimo dopo attimo, sequenza dopo sequenza, puntata dopo puntata, grazie a dialoghi pungenti e a situazioni sempre ben congegnate: un vero orologio svizzero scandito come una vera e propria marcia funebre che aleggia sopra Grace, e tutte le donne, come un cielo plumbeo pronto a rovesciare la sua rabbia sul mondo.
Grace ne è la silente portavoce. Una Grace costruita ad arte dalla regista Mary Harron (che tra l’altro ha diretto American Psycho) e magistralmente interpretata da Sarah Gadon, già musa di David Cronenberg – tra gi interpreti- sontuosa, dallo sguardo impenetrabile in un misto di maliziosa dolcezza sospesa tra bene e male. Gesti misurati e sguardi sempre “bassi” che fanno salire la temperatura, facendo rimanere tutti, compresi gli altri protagonisti della vicenda, sempre sul filo del rasoio: una lama tagliente e pronta a bruciare l’anima dei malcapitati (vedere il dottore).
E poi, quando credi che sia totalmente innocente, ecco arrivare un impercettibile movimento degli occhi e ogni certezza cessa e si piomba, di muovo, nella tetra fossa della morte incombente. Quella morte che aleggia dall’inizio alla fine del film, anche nei momenti più lieti: non vi è mai pace in questa storia in cui la tensione ci accompagna in modo costante.
Dopo The Handmaid’s Tale di Hulu, L’altra Grace è la seconda serie tv del 2017 tratta da un libro della celebre scrittrice Margaret Atwood che, in questo caso, si è ricavata un cammeo nella quarta puntata della serie. Vivamente consigliata e soprattutto in lingua originale.
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