L’oggi è una bestia, il futuro anche peggio. L’intelligenza artificiale secondo Bonello

A Venezia 80 sbarca, in concorso, Bertrand Bonello, con un’ambiziosa trasposizione di una novella di Henry James. “La bête” è un monito verso il futuro distopico in cui potrebbe portarci l’intelligenza artificiale, mischiato con una storia d’amore attraverso i secoli. Un progetto che però si perde nella sua stessa “giungla” e manca il suo punto…

Dobbiamo partire dalla fine, perché anche i titoli, di testa e di coda, sembrano sottoposti a un processo di revisione in questa Venezia 80. Innovativi quelli all’inizio di The Killer di David Fincher, sorprendente l’espediente piazzato alla fine di La bête di Bertrand Bonello, in concorso per il Leone. Un codice QR campeggia sullo schermo, scannerizzandolo si arriva al lungo video dei crediti finali.

Un controsenso a tutti gli effetti, perché il film impiega due ore e mezza per metterci in guardia dalle troppe concessioni alla tecnologia, specie alla più nuova e spiazzante: l’intelligenza artificiale. L’aspetto più interessante è che lo fa a partire da un soggetto che più lontano dai patemi del nostro mondo meccanico non si può: una novella del 1903 di Henry James, intitolata La bestia nella giungla.

L’allegoria di Bonello sembra non lasciare dubbi, l’intelligenza artificiale non è la bestia, ma la giungla. Il mostro siamo noi, che prima la creiamo e poi le concediamo spazio, venendone per forza di cose prosciugati. Certo è che se il film si limitasse a questo assunto sarebbe largamente più condivisibile, ma il regista francese sceglie di lanciarsi in film ibrido.

La trama della novella di James, un amore ottocentesco mai consumato, diventa una delle parentesi temporali in cui i due protagonisti del film, Léa Seydoux e George MacKay, si rincorrono. Entrambi stanno viaggiando nel tempo spinti proprio dalla IA, con il freudiano scopo di ritrovare e risolvere l’origine delle proprie angosce.

Lo spettatore viene quindi costantemente sballottato da un’epoca all’altra, prontamente segnalata dall’acconciatura di Seydoux, una singolarissima mappa temporale. In una i due devono fare i conti con le morali stringenti mentre Parigi si allaga, in un’altra lei è un’aspirante attrice lasciata troppo sola, nel futuro distopico è invece una donna annoiata che cerca il suo posto nel mondo.

Alcuni elementi si ripetono, forse per suggerire che le nostre esistenze si ripetono tali e quali a cadenze regolari, forse solo per provare a guidare un poco la mente del pubblico, che in questa giungla si perde facilmente. Ma il film non riesce in ogni caso a presentarsi in maniera facile agli occhi e alla mente di chi lo guarda, si esce dalla sala senz’altro con più dubbi che certezze.

Un risultato che, in linea di massima, non andrebbe considerato negativo. Ma questi dubbi sono rivolti molto più al film stesso, che non si spiega o impiega troppe metafore per far passare un concetto semplice, invece che verso il presente o il probabile futuro. Che stiamo navigando verso un futuro anestetizzato a ogni emozione è un dato difficilmente contestabile, tuttavia Bonello si smarrisce nella sua stessa giungla.

Forse alla fine la bestia ci fa anche meno paura. Il film diventa quasi un al lupo al lupo, una mente maliziosa potrebbe suggerire che se questi sono i risultati delle menti umane ben vengano quelle fatte di bit e codici. È senza dubbio un commento ingeneroso, ma da bene la misura dell’opportunità sprecata che La bête rappresenta.

Gli umori del Lido non sono stati però unanimamente freddi per Bonello, che anzi ha spaccato la sua platea in amanti totali e odiatori aguerriti. La giuria non si farà certo condizionare né dagli uni né dagli altri. Se però avrà tra i suoi membri qualcuno della prima categoria, non è da escludere che possa figurare tra i Leoni. Forse anche tra il più importante di tutti.