“Menocchio”, il mugnaio che sfidò l’Inquisizione. Arriva in sala

In sala dall’8 novembre (per Nefertiti Film), “Menocchio” di Alberto Fasulo (già autore di “Tir”), unico italiano passato in concorso a Locarno. Un episodio storico accaduto nel Friuli del XVI secolo, quando il mugnaio Domenico Scandella sfidò la chiesa a costo della vita per difendere la sua verità. Una storia che parla anche del nostro presente. Da vedere …

 

Il primo (e unico) film italiano in concorso al festival di Locarno è Menocchio, storia del mugnaio Domenico Scandella, che nel XVI secolo pur di difendere la sua verità sfidò la chiesa a costo della vita.

In Friuli Menocchio, diminutivo di Domenico, è un personaggio conosciuto, anche i bambini delle elementari sanno che è il simbolo di un territorio aspro e di una popolazione orgogliosa e testarda.

Alberto Fasulo, regista poco più che quarantenne (“ma ho già fatto quattro film, il tempo comincia a pesare”) ha scelto di portare sullo schermo un episodio storico reso noto da Carlo Ginzburg in Il formaggio e i vermi, basandosi sui verbali dei processi, e altre ricerche non per parlare dell’Inquisizione ma dei nostri giorni e per continuare la ricerca sulla sua terra.

Il film è interpretato in gran parte da attori non professionisti, che recitano in Friulano e deve un po’ della sua forza proprio all’autenticità e all’espressività dei volti scelti. A partire da Marcello Martini, che interpreta il personaggio principale; nella vita reale ha lavorato molti anni all’Enel come operaio e sindacalista e quando parla sembra di sentire il suo personaggio trasposto ai giorni nostri. Lo hanno scovato, come il resto del cast, passando al setaccio 3 mila volti nelle valli dove viveva Menocchio.

L’eresia del mugnaio, un contadino autodidatta, è credere che Dio sia nella terra, nell’aria, nel vento e in ogni cosa, anche in noi; perciò non si confessa in chiesa più di quanto non faccia nei boschi, non riconosce il potere ecclesiastico, arriva a credere di poter convincere delle sue idee le autorità dell’Inquisizione.

Non piegato dalla tortura e dal carcere, Menocchio cederà invece alle suppliche della famiglia e della comunità che lo convincono ad abiurare per avere salva la vita e riprendere il suo posto. La lettura della sua rinuncia è l’ultima scena del film, non della storia: Menocchio sarà condannato al carcere a vita, graziato qualche anno più tardi, tornerà a vivere nella sua comunità per 15 anni, fino a quando il Papa in persona chiederà di processarlo e questa volta finirà arso vivo.

Un film in costume che ha un sapore arcaico, come il mondo dell’ infanzia: è questo il tema ricorrente del regista Alberto Fasulo,“provare a essere sinceri almeno con noi stessi”. Una scelta sottolineata dai tanti primi piani del film, compresa la scena finale “perché è importante guardarsi, mettersi uno di fronte all’altro”. Nato da una cooproduzione italo-rumena (Nefertiti Film con RaiCinema e la Hai Hui Enterteinment) a Locarno è stato accolto da molti applausi.