Metti la Chiesa sul banco degli imputati. È “Conclave” il thriller vaticano di Edward Berger al cinema
In sala dal 19 dicembre (per Eagle Pictures) “Conclave” dell’austriaco Edward Berger, tratto dal romanzo-thriller vaticano di Robert Harris (Mondadori). L’elezione al papato e la clausura dei vescovi elettori gettano le basi per una quasi-indagine, pronta a mettere la Chiesa sul banco degli imputati, anche se con qualche cedimento alla faciloneria. Le ambizioni dei pretendenti al soglio si mischiano con le contraddizioni delle gerarchie, specie riguardo alle suore. Presentato alla Festa di Roma 2024 …
Sono lontani i tempi in cui Nanni Moretti immaginava i cardinali riuniti nella Cappella Sistina mentre silenziosamente pregavano per non essere eletti al soglio pontificio. La nuova visione cinematografica del Conclave, firmata dall’austriaco Edward Berger (Oscar nel 2023 per Niente di nuovo sul fronte occidentale), va esattamente nella direzione opposta. E per un incrocio curioso piomba su Roma, dove è passata alla Festa del Cinema, giusto a un passo dal tanto agognato Giubileo.
I porporati di Berger per il pontificato hanno invece una brama senza pari, tessono i loro fili politici per riuscire a vestire finalmente il bianco. A far da sostegno al film è l’omonimo romanzo di Robert Harris (uscito in Italia con Mondadori), ormai specializzato nella riscrittura di momenti storici in chiave thriller, com’era già stato per L’ufficiale e la spia di Roman Polanski, anch’esso ispirato a un suo libro.
In questo caso si intuisce che la suggestione nasce dalla clausura a cui sono sottoposti i cardinali durante i giorni dell’elezione. L’idea di un microcosmo chiuso nelle sue trame e nei suoi sotterfugi, senza contatti col mondo esterno, in cui snodano dubbi e misteri ha ispirato autore e regista. A muoversi in questo contesto, facendo al tempo stesso da filo conduttore e, quasi, da investigatore, è il cardinale decano. Voce e corpo sono quelli di Ralph Fiennes, all’ennesima prova convincente di cui quasi non ci sorprendiamo più.
Il cast è infatti il vero fiore all’occhiello di Conclave. Soprassediamo sulla possibile (e in ogni caso sterile) polemica rispetto alla scelta di dare a Stanley Tucci, anche lui ottimo, il ruolo di un cardinale italiano. Il suo è il personaggio del candidato progressista al papato, opposto a un altro italiano, conservatore, per misteriose ragioni interpretato invece da un attore nostrano, Sergio Castellitto. A completare la costellazione in chiave italo-americana c’è anche Isabella Rossellini, nei panni di una delle suore di Santa Marta, la residenza in cui vengono chiusi i votanti.
Quello delle suore è infatti una delle declinazioni in cui si snoda il senso ultimo del film. Da Spotlight in poi, sembra ormai chiaro che un film sul Vaticano non possa prescindere da una critica. Ed è pur innegabile che di aspetti criticabili la Chiesa non sia mai stata parca. Conclave sceglie di concentrarsi sulla disparità tra uomini e donne, resa evidente proprio nella clausura di Santa Marta, dove i cardinali impegnati a tessere le strategie dell’elezione vengono serviti e riveriti dalle sorelle, alle quali a malapena dedicano un pensiero.
Il tema è caldo, a lungo si è vociferato di una volontà da parte di Francesco di aprire le porte di ruoli più apicali alle donne. Tra i vari spifferi fuoriusciti dal Vaticano, di cui mai si può determinare effettivamente la solidità, recentemente si era fatto sentire uno che voleva imminente una riforma dell’assemblea elettrice, proprio per coinvolgere le suore nella votazione della Cappella Sistina. Che sia così o meno, Conclave prova a spingere su questo tasto dolente, sottolineando, non senza un pizzico di faciloneria, come il ruolo più tradizionalista del mondo sia stato occupato sempre, guarda un po’, da uomini bianchi.
Le basi per un film interessante, comunque sia, c’erano tutte. E in buona parte il risultato non cade troppo lontano. Si perde però in presunti colpi di scena da cliché, a cui il decano-investigatore si approccia con un piglio ingenuo al limite del fastidioso. Non manca ovviamente la doppia morale dell’arcivescovo con le magagne mal nascoste, né il suo avversario che le espone per bruciarne la candidatura. Fiennes, come detto, fa quasi da faro morale, è l’uomo di Chiesa disinteressato al potere, preoccupato più della sua fede e delle sue oscillazioni che delle gerarchie.
Certamente il suo personaggio è il simbolo della fede pura, anche se non è l’unico. Ma il film stesso procede poi a esporre quanto le riflessioni teologiche si mischino facilmente con ben meno candide ambizioni terrene. Viene quasi da chiedersi, dunque, come abbia fatto il buon decano a non accorgersi, in tanti anni ai vertici della Chiesa, che il Vaticano poggia in gran parte anche su questo. E che, in fin dei conti, il conclave altro non è se non un avvicendamento di potere. Non è la verosimiglianza a far storcere il naso, però, quanto più l’atteggiamento sbigottito, e per un semplice motivo: non possiamo più accettare una Chiesa che fa finta di non conoscersi.
Al netto di questo, Conclave resta un film ben fatto, visivamente apprezzabile e con alcune immagini che confermano un occhio intelligente da parte di Berger. La recitazione intensa alla lunga convince. Solo sulla trama avanzano delle domande. Ma, come dice anche il protagonista, non si procede mai senza domande.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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