Mario Monicelli, il grande artigiano del romanzo popolare. Negli scatti alla Casa del cinema

La Casa del Cinema di Roma riapre le porte ricordando Mario Monicelli attraverso una splendida mostra fotografica a cura dal Centro Sperimentale di Cinematografia. Fino al 31 marzo, a villa Borghese, le sale Amidei e Zavattini accolgono gli scatti (provenienti dalla Cineteca Nazionale) di una filmografia all’italiana che ha raccontato la storia nazional-popolare attraverso gli occhi di un infaticabile artigiano dallo sguardo “impoetico”…

“In viaggio con Anita”

All’ingresso della sala Sergio Amidei, sulla sinistra, una foto di Tony Benetti ritirae Mario Monicelli sul set di In viaggio con Anita (1979). Accanto ad una cassetta degli attrezzi, accigliato e stretto nel suo sobrio doppiopetto, rivolge all’obiettivo lo sguardo sghembo di chi non si compiace affatto di quell’attenzione indesiderata.

È questo il primo scatto ad accoglierci negli spazi della Casa del Cinema a Roma e a restituirci il ritratto essenziale, ma efficacissimo, di un mastro carpentiere della celluloide che ha rappresentato lo spirito di un’epoca imbracciando i ferri del mestiere con una tecnica sopraffina.

Lo ha fatto per una vita intera, durante una stagione interminabile di quasi duecento set, tra la sua godibilissima commedia, le memorabili incursioni nel cinema politico e nel dramma. Senza pose da intellettuale (benché lo fossero le sue origini, ache familiari), rifiutando sempre la patina da “maestro” in nome di un rarissimo pudore professionale.

Ed è proprio questa smitizzazione “impoetica” del ruolo di regista che fa da trait d’union alle immagini esposte nel cuore di Villa Borghese, un viaggio nel tempo tra le pellicole di un gigante del cinema nostrano, che ha iniziato ad esercitare il suo ruvido sguardo sul mondo sin da bambino, spiando tra i capannoni viareggini del cinema muto negli anni ’20.

Da anonimo “ciakkista” sul set di Ballerine (1936) a Tirrenia, dove lustrava le scarpe a Gustav Machatý, ad autore di capolavori come I soliti ignoti (1958), L’armata Brancaleone (1966) Romanzo popolare (1974), Amici miei (1975) o Un borgese piccolo piccolo (1977).

Ricordare il cinema di Monicelli per immagini si traduce così nell’eroico sforzo di scomodare la densa trama del nostro secolo breve, filtrato dalla sua vena apparentemente burlesca, giocosa e anti-retorica che sa commuovere lo spettatore in modo inatteso, senza ricattarlo con le solite scorciatoie dei patetismi.

“Vita da cani”

È così che accade con i fotogrammi di Totò cerca casa (1949), tra cui spicca il primo piano del “principe della risata” nelle vesti di Beniamino Lomacchio, il girovago senza tetto dall’irresistibile buffoneria di farceur che comicizza con le piroette della sua formidabile mimica. O nelle immagini tratte dal pittoresco mondo dell’avanspettacolo in Vita da cani (1950), dove a comparire è l’istrionico Aldo Fabrizi (nelle vesti del cavalier Nino Martoni) con una spaurita Gina Lollobrigida poi consegnata al successo di acclamata soubrette, insieme ad un’ inquadratura sfacciatamente “monicelliana” nella sua pienezza, dove tra la folla fanno capolino anche Eduardo Passarelli e Bruno Corelli.

E ancora, negli espressivi fotogrammi di Guardie e ladri (1951), che immortalano le gag di Totò truffatore e Fabrizi brigadiere, in cui la maschera clownesca del paroliere napoletano viene ritinteggiata di dramma nella commedia all’italiana per eccellenza; o in quelli de La ragazza con la pistola (1968) con Monica Vitti, laconica diva dell’incomunicabilità di Antonioni, creativamente rimodellata da Monicelli nel divertente ritratto di siciliana di borgata.

“Amici miei”

Ma le immagini più emozionanti non possono che essere quelle rubate dai set: scatti inediti che raccontano l’approccio irripetibile del cineasta nel disciplinare la sua frenesia realizzativa. Durante le riprese de Il medico e lo stregone (1957) l’occhio di Pierluigi Praturlon ha attraversato l’armonia del cinema monicelliano nel suo farsi, una macchina di cui il regista, da esperto demiurgo, sapeva orchestrare sapientemente ogni ingranaggio, fedele ad una tecnica scarnificata fatta di inquadrature frontali e movimenti essenziali.

Lo vediamo intrufolarsi nei paesaggi della Tuscia diviso tra Marisa Merlini e Alberto Sordi, o mentre maneggia gli utensili del mestiere insieme ad un Marcello Mastroianni in camice bianco (nella parte del dottor Francesco Marchetti in lotta con le superstizioni popolari), o durante le pause dalle ferree tempistiche da set insieme a Lorella De Luca e al produttore Guido Giambartolomei.

Tutti scatti che raccontano la coralità di un metodo Monicelli fatto sì di rigore e tecnica ineccepibili, ma anche di voraci scambi collettivi in cui liberarsi delle artificiose pose di regista, dell’aura di spirito creativo cresciuto a pane e cultura (tanta letteratura, soprattutto).

Un fantasioso parlare e perdersi in interminabili chiacchiere di costume per cogliere i capricci di un’intera generazione e convertirli in affreschi storici dal guizzo ironico, alla maniera dei colleghi Risi e Comencini. A testimoniarlo anche le fotografie d’archivio di Roberto Carnevali, in cui vediamo Monicelli sul set di Romanzo popolare (1974) insieme ad Ornella Muti, Ugo Tognazzi e Carlo Vanzina, o le immagini di repertorio immortalate da Angelo Frontoni, direttamente dalla Cineteca Nazionale, sul set di Rossini! Rossini! (1991) in compagnia di Sergio Castellitto e Jacqueline Bisset.

In fondo è proprio così che ha iniziato Monicelli nel cinema, perdendosi nella verbosa e (solo in apparenza) sconclusionata colloquialità di Steno, Age e Scarpelli, fidati compagni di scrittura con cui fare commedia curiosando tra i vizi del paese in un modo che diverte, graffia e sa anche commuovere. Posando sul mondo lo stesso sguardo beffardo di quel vegliardo austero, stretto nel suo sobrio doppiopetto accanto alla cassetta degli attrezzi, sul set di In viaggio con Anita.

guarda qui la presentazione della mostra “Mario Monicelli” con Alberto Crespi e Paolo Di Paolo