Non prendiamoci sul serio. Il Mussolini da stand-up di Joe Wright (da Scurati) in Mostra

Presentata a Venezia 81 l’attesa serie Sky Original tratta dal besteseller di Antonio Scurati, “M. Il figlio del secolo” (Bompiani). Otto puntante con un sontuoso Luca Marinelli nei panni di Mussolini di cui assistiamo dall’ascesa all’omicidio Matteotti. Per evitare ogni rischio di apologia il regista sceglie che sia Benito stesso a guidarci nel suo trasformismo, con continui “a parte”, monologhi sinceri e persino ironici. Il fascismo come leggenda si smonta da solo e quello che ci viene presentato è un leader che per il potere sarebbe in grado di fare qualsiasi cosa, soprattutto quella che gli riesce meglio: tradire…

Non c’era bisogno di avventurarsi troppo in là nelle 800 e passa pagine di tomo per capire lo spirito di M, il romanzo Premio Strega con cui Antonio Scurati provò a raccontare nel 2018 la presa del potere del fascismo. Bastava una breve nota, all’inizio, che si concludeva così: “La storia è un’invenzione cui la realtà arreca i propri materiali. Non arbitraria, però”. È l’introduzione perfetta anche per la serie che porta lo stesso nome del libro, M – Il figlio del secolo, diretta da Joe Wright, qui al meglio dei suoi numerosi adattamenti, e sbarcata fuori concorso a Venezia 81 nella sua interezza, due tranche da quattro ore ciascuna.

M è il monogramma dell’unico e solo protagonista, Mussolini, una prima differenza sostanziale dal libro, che cercava invece di adottare uno sguardo un poco più plurale. Fare i puristi non serve a nulla, tanto più che Wright dimostra subito d’aver ragione. Prima di tutto perché il suo protagonista, Luca Marinelli, si conferma l’attore sontuoso che ormai conosciamo. E poi, perché intuisce che per evitare accuratamente il rischio di apologia la chiave è che sia Mussolini stesso a guidarci nel suo trasformismo.

Così, veniamo continuamente tirati in causa dagli a parte di Marinelli, monologhi sinceri e persino ironici, al limite di Fleabag, la fortunata serie di Phoebe Waller-Bridge. Il fascismo come leggenda si smonta da solo, quello che ci viene presentato è un leader che per il potere sarebbe in grado di fare qualsiasi cosa, soprattutto quella che gli riesce meglio: tradire. Che sia sé stesso, i suoi uomini, sua moglie o i suoi ideali fa poca differenza

Il grande assente è il Partito Socialista, un aspetto su cui Scurati invece aveva insistito a lungo. Le ragioni sono comprensibili, però. Lo scrittore aveva un obiettivo diverso, mostrare com’è stato possibile il fascismo, fare una disamina accurata sul mondo a sinistra, troppo debole per iniziare la rivoluzione e troppo forte per non subirne il fascino. A questo aggiungeva un altro dato storico che non va dimenticato, quello della paura serpeggiante tra gli industriali, pronti a finanziare le camicie nere purché gli tenessero lontano le bandiere rosse.

Wright vuole invece parlar d’altro, ossia del leader carismatico e pericoloso che inebria le folle. In due parole: di Donald Trump. E il suo Mussolini, difatti, nel momento del trionfo si fa scappare un “Make Italy great again!”. Quello che ci presenta è, come l’ex presidente, il capo di una banda di teppisti catapultati al governo. Lo spettro che appare con più forza non può che essere il 6 gennaio, l’assalto a Capitol Hill. Forse anche per questo i primi quattro episodi, quelli della vera e propria ascesa dalla periferia di Milano al Parlamento, sono i più riusciti, dove il ritmo si mantiene costantemente teso.

Nella seconda metà, invece, qualcosa prende a sgonfiarsi, anche se a onor del vero è una sensazione aggravata, comprensibilmente, dal maxiformato di quattro ore continue. A suo modo è una metafora dei movimenti populisti: prorompenti nell’ascesa e di facile picchiata una volta giunti nel palazzo. Ma è proprio nelle stanze del potere che a Mussolini viene detta la frase più forte e d’attualità, quella che spiega l’allarme necessario davanti alla destra incendiaria di ieri e di oggi: «I suoi vedono la sua elezione come una licenza a delinquere».

Non servono ordini o istruzioni, insomma. Il leader non li darà nemmeno per il delitto più cruento, quello con cui si chiude questo primo scampolo di ventennio, l’uccisione di Matteotti. Basta esistere e infilarsi nelle istituzioni, se si è seminata benzina sarà una miccia più che sufficiente. Con ogni probabilità, è questa la lezione che dobbiamo tenere a mente in questi tempi di ritorni indesiderati.

Un solo appunto, più concettuale che altro, ci sembra il caso di fare al sagace Wright. Lo sguardo del regista vuole sdegnare davanti alla marmaglia nera. Ma il fascismo non è solo una questione d’etichetta, di entrare a cavallo a teatro mentre si canta la Turandot. Altrimenti basterebbe correggerne la grammatica. È invece il suo senso, la sua ragion d’essere a far ribrezzo: la violenza per schiacciare i più deboli e incensare i più forti, scavare fossati col manganello perché non possa mai esistere uguaglianza.

Che una serie, però, possa suscitare un dibattito attorno a questo è già un risultato notevole, da non sottovalutare. Tanto più di fronte a un presente torbido a dir poco. Dal 2025 M arriverà sugli schermi di Sky, sarà quello il suo banco di prova. Intanto, però, al Lido ha già convinto molti.