Non solo con le armi della poesia. Cannizzaro dà “Ossigeno” al poeta brigatista

Appuntamento lunedì 3 giugno (ore 20) all’Institut français-Centre Saint Louis di Roma (via Toniolo 22) per la proiezione di “Ossigeno”, doc di Piero Cannizzaro (del 2012) dedicato ad Agrippino Costa, poeta brigatista scomparso nel 2017. A seguire incontro col regista e Fabio Castriota, psichiatra e ideatore del festival Cinemente (modera Gabriella Gallozzi).  Cannizzaro con grandi doti di serenità, comprensione, intelligenza racconta una storia di rinascita, scavando in una vicenda delicata, drammatica, amara, come fosse munito, appunto di “ossigeno”. Per farci respirare, per farci trovare non giustificazioni fasulle, ma conoscenze sincere su storie che hanno devastato tante vite …

Erri De Luca e Piero Cannizzaro nell’incontro parigino del 2018 alla Maison d’Italie

È il poeta poco conosciuto degli anni di piombo. Ovvero gli anni 70. Quelli contrassegnati da grandi movimenti democratici che volevano cambiare il Paese e da sanguinosi agguati terroristici che sono serviti anche a deviare e bloccare quei movimenti.

Il suo nome è Agrippino Costa, nativo di Mineo (Catania), scomparso il 21 marzo dello scorso anno. Aveva militato nei Nap (nuclei armati proletari) e nelle Br ma si vantava di non aver mai ucciso nessuno. Semmai ha prodotto musiche e canzoni dedicate a quelle rivolte senza esito. Ha condotto una vita spericolata tra ladri, criminali, assassini. Ha conosciuto 50 diverse carceri dove ha scontato 20 anni di prigione (12 in carcere speciale). Ha concluso la sua esistenza tra gli ulivi della Puglia, accanto alla moglie Lucia, salutato da nove figli.

Lo aveva conosciuto e frequentato, già da tempo, il regista Piero Cannizzaro che attorno alla sua figura ha costruito un davvero interessante docu-film dal titolo Ossigeno (2012). Perché questa parola ricca di speranza? Perché durante un suo soggiorno in un manicomio criminale un malato aveva risposto alla domanda di Agrippino “che cosa è per te l’amore?”, con quella ostinata sillabazione: “Ossigeno-Ossigeno-Ossigeno”.

C’è da pensare che in fondo Piero Cannizzaro con grandi doti di serenità, comprensione, intelligenza abbia voluto scavare in una vicenda delicata, drammatica, amara, come fosse munito, appunto di “ossigeno”. Per farci respirare, per farci trovare non giustificazioni fasulle, ma conoscenze sincere su storie che hanno devastato tante vite.

Il personaggio è uno solo, lui, Agrippino, con la sua faccia tormentata, il suo sorriso spesso mesto. Che ricostruisce la storia della sua vita, passo dopo passo. È una specie di autoanalisi, stretta in un film in bianco e nero perché lui invidia “quelli che sognano a colori”.

Col ricordo del padre militare e quello del primo colpo sul lago di Ginevra nella villa del presidente della Croce Rossa internazionale. Con un bottino rappresentato nientemeno che dalla Venere di Botticelli, avvolta in una pelliccia di visone. Poi i Nap e gli idoli del momento da Che Guevara a Hi Ci Min.

Con pagine violente, drammatiche. Come nelle rivolte dell’Asinara o di Pianosa, come nella fuga dal carcere di Augusta e la fine nel manicomio criminale di Barcellona. C’è la ferocia inaudita dei carcerieri, ma c’è l’altrettanta ferocia dei compagni di cella brigatisti.

Quando assiste alla cosa più orribile: “compagni con le gole tagliate” perché considerati traditori. Esperienze tremende in un mondo terribile che lo portano ad esprimere osservazioni spesso sconnesse: “L’energia dell’assassino è la stessa dell’artista… Col coltello posso tagliare un pezzo di pane e offrirtelo oppure ucciderti”. Così quando dice: “La bomba è libertà”.

Però non c’è la giustificazione del terrorismo. Giunge infatti al rifiuto della lotta armata “quando le armi hanno preso il sopravvento sulla politica”. Questo perché la lotta amata “non dà la possibilità di risolvere il conflitto”. La salvezza la trova tramite Franca Rame che riesce a prelevarlo dall’ultima tappa, il manicomio di Barcellona.

Una “confessione” lunga e ricca, quella concessa a Piero Cannizzaro: “Ho accettato il mio passato, non so quanto lo ho digerito”. A Lecce , nel 1990, la moglie Lucia contribuisce in modo determinante alla sua sosta (anche se ha continuamente voglia di scappare, racconta nel film). Con lei ha cresciuto sei figli (altri tre con una prima moglie).

La sua prima poesia, quando aveva 14 anni, era stata pubblicata (ironia della sorte) da L’osservatore Romano. Il suo lavoro di scrittura (ma anche di pittura) è proseguito poi fino alla morte. Sul web è possibile rintracciare qualcosa. Come nella Postfazione, di Versoperverso. Dove afferma: “Bisogna morire al passato e rinascere al presente, alla continua ricerca di quella consapevolezza necessaria a motivare la nostra esistenza. Senza questa visione la vita non mi riguarda… (perché) in questa civiltà spettrale che vaga nei labirinti del proprio inconscio collettivo, che danza e che geme e corre sfrenata verso baratri che sanno di follia non c’è posto per i poeti… non c’è posto per i reduci dell’utopia il n’y a pas de plaçe pour les entants de coeur / no, non c’è spazio per nessuna poesia…”.