Quel reparto di confino dove è nato il mobbing. Nella “Palazzina Laf” dell’Ilva di Taranto con Michele Riondino

Michele Riondino stavolta come regista porta alla Festa di Roma il suo film-denuncia “Palazzina Laf”. Al centro la vicenda degli anni 90 che rivelò al mondo gli orrori dei reparti confino e la pratica di quello che da allora iniziò a chiamarsi mobbing, perpetrato a danno dei lavoratori dello stabilimento Ilva di Taranto. Uno stabilimento che da allora non ha più avuto pace. In sala dal 30 novembre con Bim …

Presentato alla Festa del Cinema di Roma e dedicato al giornalista e scrittore Alessandro Leogrande, morto durante la lavorazione del film di cui avrebbe dovuto co-firmare la sceneggiatura assieme a Michele Riondino e Maurizio Braucci, il lungometraggio di Michele Riondino Palazzina Laf è un documento agghiacciante su un caso che all’epoca – siamo negli anni 90 del secolo scorso – ebbe una forte risonanza mediatica.

Poi fu in qualche modo sovrastato dalle note e drammatiche vicende che hanno coinvolto lo stabilimento Ilva di Taranto, con i loro riflessi ambientali, economici, politici e sindacali. Vicende che peraltro sono tutt’altro che concluse, come conferma la recente marcia dei lavoratori dell’Ilva di Taranto per presentare ai responsabili politici della capitale le loro rivendicazioni.

La storia: Caterino Lamanna, operaio che lavora nel complesso siderurgico di Taranto e abita in una masseria non lontana, viene contattato dalla direzione che gli propone di svolgere opera di spionaggio nei confronti degli altri lavoratori. Siamo in un’epoca di mobilitazioni sindacali e di timori per la sorte di uno stabilimento che dà lavoro e sostentamento a un gran numero di famiglie tarantine ma che produce un livello di inquinamento intollerabile, i cui segni tangibili sulla salute umana e sulla natura circostante sono ormai ben visibili. Sugli animali della masseria e poi sulla sua stessa persona Caterino avrà modo di sperimentare gli effetti spaventosi dei veleni riversati dall’acciaieria.

L’uomo accetta la proposta della direzione e, forse per ingenuità, forse per essere più realista del re sperando in ulteriori ricompense, chiede di essere trasferito nella Palazzina Laf, una specie di reparto confino in cui i lavoratori in esubero o demansionati trascorrono le loro giornate nell’ozio (e nella paranoia), pur continuando a essere retribuiti.

Il luogo viene descritto come una specie di girone infernale, con molti rimandi alla memoria dei manicomi e ai comportamenti degli alienati. Quella che appare inizialmente come una forzatura drammaturgica, nella realtà è un vero e proprio abuso di potere che finirà sotto la lente della magistratura in seguito alle denunce degli interessati.

Anzi, come si legge nelle note di regia, non solo i fatti narrati nel film sono frutto di interviste a ex lavoratori Ilva ed ex confinati, ma i passaggi finali sono dettagliatamente presi dalle carte processuali che hanno determinato la condanna degli imputati e il risarcimento delle vittime.

Nel 2006, infatti, la Corte di Cassazione condanna il presidente dell’Ilva Emilio Riva e due suoi collaboratori per violenza privata e frode processuale in relazione alle vicende della palazzina Laf. Interessante rilevare che nel corso del dibattito processuale viene introdotto per la prima volta il termine “mobbing”, che poi sarà riconosciuto come fattispecie di reato perpetrato all’interno delle organizzazioni del lavoro.

“Ai lavoratori ‘confinati’ – scriveva Alessandro Leogrande – non è chiesto di produrre, ma di trascorrere le giornate senza fare niente, guardando il soffitto o girandosi i pollici, fino a quando quel lento, prolungato stato di inazione non diventa una forma estrema di violenza contro la propria mente e il proprio corpo”. Si tratta dunque di una specie di nevrosi indotta, di uno stress da non lavoro che serve a piegare i lavoratori più scomodi, spingendoli ad auto licenziarsi o ad accettare il demansionamento. Ma anche di una forma di ricatto nei confronti di coloro che continuano a lavorare alla catena di montaggio, con lo spettro di una terribile punizione che li aspetta se oseranno contravvenire alle imposizioni della direzione.

Al ruolo di Caterino Lamanna si presta con efficacia lo stesso Michele Riondino, mentre Elio Germano si cala generosamente nelle vesti odiose del capo del personale.