Rubini prosegue la dinasty Scarpetta. È cinema ma sembra una fiction televisiva perfetta al cinema

In sala soltanto il 13, 14, 15 dicembre (per 01 Distribution) “I fratelli De Filippo” di Sergio Rubini. Sorta di seconda puntata del racconto fatto da Mario Martone in “Qui rido io” dedicato alla dinasty Scarpetta. Qui si narra piuttosto quello che è stato “Il teatro umoristico dei De Filippo”, ossia la compagnia dei tre fratelli e figli – mai riconosciuti – della star napoletana. Più che cinema una fiction televisiva perfetta. Presentato tra gli Eventi speciali della scorsa Festa di Roma …

Tocca a Rubini la seconda puntata della dinasty Scarpetta.
Anzi, seconda e terza, perché, dopo il bel film di Martone, Qui rido io  – applaudito a Venezia sul capostipite di questa stirpe di artisti napoletani che ha robuste radici dall’800 – per lunghezza e ritmo I fratelli De Filippo, che l’attore e regista Sergio Rubini ha diretto, sembra una fiction televisiva perfetta.

Per altro molto applaudita, per ben due volte, durante la presentazione alla stampa, alla Festa del cinema di Roma.

In questa storia, che trae probabilmente spunto anche da Una famiglia difficile, il libro autobiografico (Marotta Editore), scritto negli ultimi anni della sua vita da Peppino De Filippo, si racconta l’emancipazione e riscatto professionale e familiare dei tre figli (a cui Scarpetta non ha mai dato il suo cognome) che la più amata star napoletana dell’epoca ha avuto con la nipote, Luisa De Filippo.

Lo zio-padre dei tre, che nel film di Martone era Servillo qui passa la palla alla burbera interpretazione di Giancarlo Giannini. Mentre Mario Autore, Anna Ferraioli Ravel e Domenico Pinelli vestono i panni di Eduardo, Titina e Peppino. Nel film non manca l’arrivo a cinque anni del piccolo, paffuto e rustico Peppino, portato da Caivano a Napoli dal marito della balia (che lui credeva fosse la sua vera mamma) nella casa di Napoli dove viveva la sua madre biologica coi suoi fratelli più grandi: Eduardo e Titina.

Ma è soprattutto la storia post Scarpetta, insomma l’affrancamento dei tre da una famiglia coinvolgente e appunto difficile, ricca e molto famosa, che a loro, a parte il cognome, e il diritto di usare l’ascensore del palazzo aristocratico dove Scarpetta aveva radunato il suo harem allargato, non aveva mai fatto mancare altro.

Certo non il talento passato come eredità genetica con pari dosi in tutti e tre. Anche se con diverse sfumature e declinazioni artistiche determinate dai diversi caratteri.

E se è vero che l’unione fa la forza, quando il vecchio zio-padre se ne va’ all’altro mondo e la promessa eredità e tranquillità economica, finisce tutta nelle mani della moglie-zia, lasciando loro nei guai, è proprio unendosi in arte con il cognome della madre esibito con orgoglio che scaleranno un successo imprevedibile, visto il momento storico in preda a Mussolini.

Il nome scelto da Eduardo per la compagnia fu “Il teatro umoristico dei De Filippo” dove umoristico significava risata amara. Di testa, non più solo di pancia. Ottenuta rubando la verità alla gente di strada.

E anche questo era all’epoca rivoluzione. E qui, a questa partenza, finisce il racconto sceneggiato da Sergio Rubini, Carla Cavalluzzi e Angelo Pasquini. E musicato da Piovani.

“Il teatro umoristico dei De Filippo” dal ’31 al ’44 dello scorso secolo collezionò solo successi. Poi i disaccordi tra i due fratelli si riaccesero. Contribuì non poco anche il fatto che Peppino tradì la moglie Adele Carloni con Lidia Martora coinvolgendo la compagnia nelle sue beghe familiari.

Ma tutto questo, immagino, farà prossimamente parte del sequel che a quanto pare è previsto da Pepito Produzioni, Nuovo Teatro e RaiCinema.

Ultimo appunto: la famiglia “normale” – come nel film sentiamo dire a Titina – scelta da lei sposando Pietro perché i suoceri, Augusto e Addolorata, i loro dieci figli tutti attori, anche loro, come i genitori, contrariamente a Scarpetta, li hanno fatti senza amorosi contributi esterni – si chiama Carloni e non Carlone come abbiamo visto nei sottotitoli inglesi durante la proiezione.

Una famiglia su cui, come forse ho già scritto, Lina Wertmueller aveva in mente anni fa di costruire un suo film.