Se Antigone è un medico legale. Il diritto al nome è doc con “Sconosciuti puri”
Disponibile sulla piattaforma OpenDDB “Sconosciuti puri”, film documentario di Valentina Cicogna e Mattia Colombo. L’impegno costante e determinato di Elena Cattaneo, medico legale e docente alla Statale di Milano, a ridare un’identità ai tanti scheletri senza nome dei migranti morti nei continui naufragi, alle donne vittime dei racket, ai senza tetto. Perché non si tratta tanto dei diritti dei morti, ma di quelli delle loro famiglie, che hanno bisogno della verità, di un corpo e di un luogo dove piangerli …
Chi sono gli Sconosciuti puri? Sono morti senza identità. Persone che a volte vivono ai margini, prostitute o homeless, o che nella nostra società non hanno fatto a tempo a entrare, come i naufraghi del Mediterraneo. È di loro che si occupa Elena Cattaneo, medico legale e docente alla Statale di Milano, con la sua squadra del Labanof, Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense. È di loro che parla il documentario Sconosciuti puri di Valentina Cicogna e Mattia Colombo, 2023, prodotto da Jump Cut, Amka Films Productions, Sisyfos Film Production.
Perché occuparsi dei diritti dei morti, se questa Europa fa fatica ad occuparsi dei diritti dei vivi? Lo spiega con gentile fermezza la dottoressa Cattaneo. Perché non si tratta tanto dei diritti dei morti, ma di quelli delle loro famiglie, che hanno bisogno della verità, di un corpo e di un luogo dove piangerli. Perché si tratta della salute di chi resta, di chi ha subito una “perdita ambigua” che è difficile elaborare e che porta alla depressione. Restituire un corpo a chi l’ha amato significa prendersi cura di chi vive.
Il documentario mostra la cura certosina e accurata per il corpo di sant’Ambrogio, spogliato e rivestito e ornato di tessuti preziosi, un atto di venerazione che si perpetua negli anni, anche se da morti saremmo tutti uguali. È infatti la stessa cura che i medici del Labanov dedicano agli scheletri fortunosamente ritrovati nelle campagne o negli scavi in città, oppure ai resti umani trovati nelle stive dei barconi affondati in mare.
Già, il mare. Il 18 aprile 2015, nel canale di Sicilia, avvenne il naufragio più tragico nella storia del Mediterraneo, a 96 chilometri dalla costa libica e a 193 a sud di Lampedusa. Solo 28 superstiti; nel barcone vennero trovati 300 corpi, 25 in sala macchine, 10 sottocoperta, e vennero date per disperse tra le 700 e le 1100 persone. Quel barcone diventò nel 2019 un’installazione alla Biennale di Venezia, un tentativo di rompere l’indifferenza degli egoismi che disumanizzano i popoli un tempo civili, monumento alla speranza. Invano.
Perché intanto gli egoismi sono aumentati, diventati merce elettorale e diffusi in tutta Europa, e dell’umanità, passo dopo passo, si sta perdendo traccia. Ma il diritto al nome, il primo diritto umano, non può essere dimenticato. Sui corpi recuperati da quel barcone, metà giovani uomini, metà ragazzini con le pagelle in tasca, hanno lavorato la dottoressa Cattaneo e il suo team, conservando testimonianze della vita, un biglietto del tram, un monile, un telefono, un crocifisso; e brandelli di morte, una cicatrice, un tatuaggio, un’arcata dentale. Brandelli che possano facilitare il riconoscimento delle persone. Perché non scompaiano, non restino che stracci buttati sul bagnasciuga.
Un lavoro oscuro, misconosciuto. Eppure è qui il rispetto per la vita, per i diritti umani. Lo conferma il pianto desolato di una sorella che dopo anni ha potuto ritrovare i resti di una giovane prostituta albanese, schiavizzata e punita fino alla morte, e cercata invano senza darsi pace. Il diritto alla verità e alla giustizia.
Le polizia internazionali non condividono database e informazioni in dettaglio, spiega Cattaneo, le istituzioni internazionali non pensano sia loro compito rispondere e impegnarsi, nessuno crede di dover farsi carico di queste tragedie: “Noi scienziati forensi dobbiamo ricordare che questa è invece una nostra responsabilità”.
Lei, con il suo gruppo, non smette di farlo. Nel 2022 la dottoressa è stata invitata al Parlamento europeo a parlare del suo lavoro, a lanciare un appello: se gli stati europei lavorassero insieme sarebbe più facile identificare gli “sconosciuti puri”. Finora, l’appello è rimasto senza risposta.
Ella Baffoni
Giornalista dal 1964. Fin dal 1973 ha lavorato al Manifesto. Nel 2002 è andata all'Unità, al desk del politico. Negli ultimi anni è stata agli esteri e ha collaborato all'online. Insegna italiano a stranieri. Collabora a Strisciarossa. Appassionata lettrice e viaggiatrice, ha due figlie. È comunista.
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