Se le ragazze sono unite. “Girl Power” tra femminismo al liceo e pericolo di retorica

Prove generali di ribellione al patriarcato. Appena approdata su Netflix in zona 8 marzo, “Girl Power – La rivoluzione comincia a scuola” (titolo originale Moxie), è la teen comedy in salsa femminista che la regista-attrice Amy Poehler ha tratto dall’omonimo romanzo young adult di Jennifer Mathieu (Mondadori, 2018). La protagonista è la solita 16enne timida e introversa, che riuscirà ad unire le sue compagne contro vessazioni e maschilismo, ispirata dalle fragorose fanzine della mamma, ex riot grrrl. Peccato che il film non spicchi il volo, appesantito da retorica e nuovi stereotipi…

Do you remember 1990? Era appena caduto il Muro di Berlino, ad agosto era esplosa la prima Guerra del Golfo; tempi agitati, perfetti per far nascere un movimento come le Riot Grrrls. A Olympia, stato di Washington, e lungo tutta la costa nordest, erano spuntate fragorose punk band di ragazze appena uscite dal liceo: bianche, afroamericane, asiatiche, pestavano sugli strumenti, mettevano insieme musica, femminismo, politica.

Ai concerti chiamavano le ragazze sotto il palco e buttavano fuori (Kathleen Hanna delle Bikini Kill lo faceva con le sue mani, buttandosi giù dal palco) i maschi che rompevano le scatole. Avevano prodotto una rivolta rumorosa e vitale con parole d’ordine come “riots not diets” e fanzine autoprodotte per raccontarsi, ritrovarsi, piene di musica, grafiche, un’estetica girlie che ancora fa scuola.

Poi gli anni sono passati, qualcuna di quelle ragazze ancora suona, qualcuna ha cambiato vita, tante sono diventata mamme.
È successo anche a Lisa, ex riot grrrl e ora mamma single della sedicenne Vivian (Hadley Robinson), timida e rassegnata antieroina di Girl Power – La rivoluzione comincia a scuola: film appena approdato su Netflix, che la regista-attrice Amy Poehler ha tratto dall’omonimo romanzo genere young adult di Jennifer Mathieu, uscito nel 2018 anche in Italia per Mondadori.

Amy Poehler è una regina della comedy televisiva americana ma in questo caso far ridere non era la sua priorità. La storia è tutta inscritta dentro il perimetro delle classiche teen comedy americane di ambientazione scolastica, e nessuno stereotipo di quel genere ci viene risparmiato.

C’è un liceo, Rockport High School, con una preside (Marcia Gay Harden) che non brilla per inclusività e dunque è la cattiva della situazione. C’è il capitano della squadra di football Mitchell Wilson (Patrick Schwarzenegger) che dovrebbe essere il maschio alfa della situazione ma si rivela prevedibilmente una testa di c…, capace di brillare solo nelle molestie, se non peggio.

Ci sono le ragazze destinate a finire nelle liste delle “più chiavabili” ma c’è anche la trans che ha da poco cambiato identità (quota gender); Claudia l’amica di Vivian in conflitto con la sua famiglia di origine asiatica (quota immigrazione); la studentessa perseguitata dalla preside per le canottiere troppo discinte (quota body consciousness); Seth, il ragazzo dolce a rappresentare i maschi capaci di rispetto.

E c’è anche, altro grande cliché, la studentessa nuova arrivata. Che si chiama Lucy (già, come la prima donna nella storia), ed è un’afroamericana dai lunghi dreadlocks, determinata a sfidare la cultura sessista della Rockport a partire dal libro assegnato per la lettura estiva: Il grande Gatsby di Scott Fitzgerald. Se vogliamo parlare di sogno americano, protesta Lucy, perché scegliere la storia di “un maschio bianco e ricco oltretutto innamorato dell’unica donna che non può avere”? Perché “non leggere invece i libri di Sandra Cisneros?”.

Verrebbe voglia di risponderle: Lucy, perché non leggere entrambe? Perché non partire da quello che è il primo e assoluto valore di Gatsby, vale a dire quello letterario? Ma è un terreno scivoloso, e questo non è un film sulla cancel culture.

È invece un film sulla capacità delle ragazze di unirsi e alzare la voce, cosa che succede quando Vivian a sorpresa esce dal suo guscio e incita alla rivolta dalle pagine di una fanzine, Moxie per l’appunto, stampata di nascosto e distribuita nei bagni della scuola.
Questa è l’idea più bella del film, e ovviamente del libro. Il passaggio di consegne da una generazione all’altra.

Perché l’ispirazione per la fanzine viene a Vivian quando scopre il passato da riot grrrl di sua mamma, che in un baule in casa ha nascosto tutta la memorabilia dell’epoca (fanzine, dischi, volantini, foto, il vecchio giubbotto di pelle nera) e quando sullo schermo esplode Rebel Girl delle Bikini Kill per qualche minuto il film prende veramente vita. Peccato che il film fallisca nel mostrare in che modo Viv riesce a maturare l’idea della fanzine a partire da quella scoperta.

Sarebbe bello poter vedere Moxie con una quindicenne per capire cosa riesca a cogliere effettivamente di quello che le riot grrrl sono state, e in che modo quell’esperienza può ispirarci oggi, in un presente dove la comunicazione ha tanti canali quotidianamente attraversati da dibattiti sul corpo, il sesso, l’identità di genere, l’aborto, la violenza, la libertà, il razzismo.

Il tema in gioco avrebbe meritato un approccio meno stereotipato, meno preoccupato di fare bene il suo compitino. È un film per teenager, si dirà, ma lo era anche Pretty in Pink, per esempio, che per le ragazze degli anni 80 future riot grrrl fu il manifesto di tutte le outsider orgogliose di essere se stesse, strane, povere, figlie della working class che si cuciono i vestiti da sole, e di non cambiare solo per piacere agli altri. Andie (la bella in rosa) sì che era una rebel girl.