Se Pinocchio è un migrante. L’ Odissea di Matteo Garrone nel deserto che ha vinto Venezia80 sfida la sala

In sala (per 01) “Io Capitano” di Matteo Garrone, fresco di doppia vittoria a Venezia 80 (Leone d’argento per la regia e premio Mastroianni per il giovane interprete Seydou Sarr) dedicato all’odissea di due sedicenni senegalesi che intraprendono il drammatico viaggio della speranza tra orrori e violenze del deserto libico. I due sembrano proprio Pinocchio e Lucignolo ipnotizzati da una visione di fortuna e successo nel continente europeo: il Paese dei Balocchi. Nel realismo del film c’è una parte di fiaba …

È bello scoprire che Matteo Garrone, progettando il suo Pinocchio, aveva pensato anche a un Pinocchio migrante. Sembra azzardato proporgli similitudini con la fiaba a proposito di un viaggio della speranza pieno di orrori e di patimenti come Io capitano, che dal concorso veneziano il 7 settembre si catapulta direttamente in sala, distribuito da 01.

Ma è una domanda, la mia, che invece lo fa sorridere: “Sono storie che si sposano naturalmente. Anche Collodi scriveva per mettere in guardia i piccoli dalla violenza oscura del mondo circostante.” Seydou (Seydou Sarr) e suo cugino Moussa (Moustapha Fall), protetti da una povertà serena e dignitosa nel Senegal matriarcale di Dakar, sembrano proprio Pinocchio e Lucignolo ipnotizzati da una visione di fortuna e successo nel continente europeo: il Paese dei Balocchi. Nel realismo del film c’è una parte di fiaba.

La realtà segue le tappe dolenti di tante testimonianze raccolte tra i sopravvissuti ai “barconi”, con i pochi soldi rubati alle frontiere, il deserto che stronca i più deboli, le carceri infami e i venditori di esseri umani in Libia, dove il business del traffico è un ingranaggio perfetto. Le conosciamo da anni di reportage. Il quindicenne Seydou, che trasmette emozioni come un attore di razza, si troverà addosso il carico e la responsabilità di decine di esseri umani, perché anche se non sa nemmeno nuotare i trafficanti gli hanno messo in mano il timone della carretta del mare.

Garrone però non racconta una fuga da guerre, fame e disperazione. La storia che firma insieme a Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri è diversa. “Ci sono tanti tipi di emigrazione – dice – la nostra è legata a quel 70% di popolazione africana giovane figlio della globalizzazione e dei social. Hanno il miraggio di una vita migliore, magari di un successo come musicisti che gli farà chiedere l’autografo dai bianchi. È un tipo di emigrazione di cui si parla meno, ma esiste”.

l film era stato proposto a Cannes ma invece è a Venezia, la prima volta in concorso alla Mostra per Garrone. Sulle ragioni non si sbilancia, ma gira voce che non dipenda dai meriti intrinseci di Io capitano. È bello che valorizzi la collaborazione di Ceccherini, già registrata per Pinocchio.” È un grande aiuto per me. Questo è un racconto d’avventura popolare, senza sovrastrutture, e Massimo non è un borghese come me, viene dal popolo. Ha lo sguardo puro di un bambino, deve capire perfettamente quello che si sta raccontando”.

La vera esperienza di Adama Mamadou, che affiancava il regista nell’incontro ristretto con i giornalisti, è stata preziosa. “Ho fatto questo viaggio quindici anni fa – racconta – partendo dall’Africa sub-sahariana, ho visto e provato i lager e i mercati di uomini”. La storia del capitano quindicenne Garrone invece l’ha raccolta molti anni fa in un centro di accoglienza di Catania. Il ragazzino costretto a quel ruolo dai trafficanti fu incarcerato per sei mesi. “Era una grande vicenda da raccontare, ma sono stato bloccato per anni dall’imbarazzo di affrontare, io borghese, questa materia”.

C’è anche una componente onirica, nel film, “necessaria -secondo il regista- per raccontare questi ragazzi dall’interno, dalla loro anima, perché Seydou si porta dentro i sensi di colpa verso la madre, all’oscuro della sua partenza”. È dunque una doppia odissea, geografica e interiore, quella di Io capitano, che più di ogni altra opera di Matteo Garrone segue i canoni classici codificati dal Viaggio dell’Eroe’, schema-base di ogni narrazione d’avventura dei giorni nostri, come ben sanno gli sceneggiatori di tutto il pianeta.

Fonte Huffingthon Post