Storie di uomini contro. Le grandi vittime della Grande guerra, in un doc
Al Trieste FilmFestival, il 23 gennaio passa “Non ne parliamo di questa guerra“, il dolente documentario di Fredo Valla dedicato alle migliaia e migliaia di vittime che, durante la Prima Guerra Mondiale, non furono uccise al fronte, ma dai tribunali militari. Le decimazioni di disertori, disobbedienti, soldati spesso colpevoli solo di aver protestato contro l’ottusità dei comandi che li mandavano al macello per incompetenza, vanità e carrierismo… Mentre ancora si attendono le riabilitazioni, come nel caso degli alpini di Cercivento…
Non ne parliamo di questa guerra. Le prime parole di un canto di soldati anonimi dà il titolo a questo dolente documentario di Fredo Valla che affronta con sdegno pacato una delle tragedie italiane nella tragedia che fu per molti milioni di uomini e donne la Prima Guerra Mondiale: le decimazioni di soldati spesso colpevoli solo di aver protestato contro l’ottusità dei comandi che mandavano al macello i soldati per incompetenza, per vanità e carrierismo.
Al di là della retorica bellicistica e avanguardista (non dimentichiamoci mai che da quella guerra nacquero sia il fascismo che il nazismo) la Prima Guerra mondiale di cui ci apprestiamo a ricordare il centenario della fine, fu una immane tragedia popolare di una Nazione che ancora quasi non esisteva mandata al massacro per qualcosa che non capiva, in luoghi che forse appartenevano allo stesso stato ma erano lontani, lontanissimi dalle coscienze e dalla consapevolezza dei braccianti pugliesi o dei pastori sardi sventrati dalle granate sul Carso o sul Grappa.
Eppure combatterono, come ci dicono i nomi dei Dimonios, i fantaccini della Brigata Sassari, o dei Lupi di Toscana che da allora abitano gli ossari di Redipuglia o di Asiago. “Di che reggimento siete/fratelli?” scrive Ungaretti a Mariano del Friuli nel 1916 al cospetto di tanti tormenti raccontati anche da Emilio Lussu in Un anno sull’altipiano (da cui Francesco Rosi trovò ispirazione, nel 1970, per il suo Uomini contro con Gian Maria Volontè), una delle tante denunce dell’orrore di una guerra insensata come quelle che uscirono dalle penne di Alexander Lernet-Holenia o Erich Maria Remarque, tanto per parlare delle storie viste dall’altra parte del fronte.
I tribunali di guerra italiani pronunciarono oltre 15 mila condanne all’ergastolo e più di 4 mila condanne a morte. Un numero enorme, molto più alto del numero delle condanne pronunciate per gli altri eserciti in guerra, peraltro più numerosi di quello italiano, come spiega nel film Bruna Bianchi dell’Università di Venezia.
“Il giudice non è chiamato a stabilire la verità tra le parti ….. bensì a dare degli esempi, a servire la suprema necessità della disciplina: cioè a riaffermare la volontà della parte che ha deciso la guerra e che intende con ogni mezzo portarla a buon fine” scrivevano Enzo Forcella e Alberto Monticone in un libro uscito nel 1968 per Laterza, Plotone di esecuzione.
Il film di Fredo Valla, già sceneggiatore di Giorgio Diritti, parte dalla denuncia delle decimazioni, le fucilazioni sommarie di soldati presi a caso da reparti accusati di essersi ammutinati o anche semplicemente di aver cercato di obiettare agli ordini criminali di certi comandanti.
Nel film c’è anche il racconto della fucilazione di quattro alpini a Cercivento, vicino Udine, perché avevano cercato di convincere il loro comandante di attuare un piano di attacco che avrebbe potuto dare maggiori possibilità di successo, come racconta anche il libro La fucilazione dell’alpino Ortis, di Maria Rosa Calderoni (Mursia). Le fucilazioni di Cercivento sono state pure al centro di una proposta di legge di riabilitazione dei soldati fucilati sommariamente durante la Prima Guerra. Proposta arenatasi in Parlamento per la resistenza dei comandi militari (furibondi che si potesse risollevare l’acclarata incompetenza dei loro colleghi generali di un secolo prima) e l’ostracismo dei benpensanti della destra diffusa.
Riabilitazione che invece ci fu sia in Gran Bretagna che in Francia già alcuni anni fa per i loro fucilati. Resistenza in nome di quei generali come quel Cadorna la cui incompetenza fece rischiare la sconfitta o quel Badoglio (lo stesso Badoglio!) che la notte in cui le truppe austro tedesche sfondarono Caporetto rimase a dormire ordinando alle artiglierie di non sparare prima del suo risveglio.
Il film di Valla fa un bel lavoro di ricostruzione dei fatti e delle atmosfere di quegli anni, evitando retoriche di vario genere e facendosi aiutare dai canti delle trincee eseguiti da Gabriella Gabrielli con Diego Todesco alla chitarra. Peccato che il racconto perda di fuoco, si sfilacci un po’ nel tentativo di aggiungere alle storie della prima linea quelle delle proteste o delle rivolte delle popolazioni lontano dal fronte.
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