Sull’Orient Express di Kenneth Branagh. Tra teatro e videogioco

In sala dal 30 novembre (per 20th Century Fox) il remake di “Assassinio sull’Orient Express”, firmato e interpretato da Kenneth Branagh. Cast stellare – Penélope Cruz, Michelle Pfeiffer, Johnny Depp – per un film maggiormente apparentato con i remake di Guy Ritchie su Sherlock Holmes che con i suoi precedenti “agathachristiani”. E attento alla sensibilità percettiva di un pubblico svezzato a videogiochi e riprese di droni…

Dimenticate i baffetti da sparviero del Poirot di Albert Finney o le parvenze ovoidali di David Suchet: per calzare i panni dell’acuto investigatore belga uscito dalla penna di Agatha Christie, Kenneth Branagh ha preso un’altra direzione con il suo remake di Assassinio sull’Orient Express (in uscita il 30 novembre per 20th Century Fox).

Baffoni a manubrio, curatissimi, imponenti – inseguendo un profilo espresso dalla stessa autrice che nel 1974 vide il film di Sidney Lumet e rimase delusa dalle virgolette all’insù del protagonista – per un Poirot che esprime la sua stravaganza più nei vezzi che nel fisico.

È un uomo di mezza età, certo, ma curato e piacente, che cerca nelle uova à la coque la misura della perfezione e nella perpendicolarità delle cravatte l’equilibrio del mondo. Legge la crepa, nelle cose, e ne ricostruisce la causa del difetto con infallibile logica. È un uomo tranquillo, dai toni pacati, dall’etica impeccabile e dal tratto sentimentale segreto (i sospiri sulla foto dell’amata).

Un buon ritratto, ci sta nella ripresa di un personaggio letterario pesantemente celebre, che Branagh maneggia con cura teatrale. Investendo, anche nella regia del film, nello sguardo di Poirot, più che nella ricostruzione filologica dei personaggi e di una trama di un giallo che dovrebbe ormai essere noto a chiunque. Ecco dunque che il suo Orient Express sfonda le cornici, comincia da un prologo esterno con una mini indagine in una Instanbul da cartolina vintage e finisce con il lancio della prossima avventura sul Nilo.

In mezzo la storia, ambientata sull’esotico treno preso al volo da Poirot per raggiungere Calais, dove sfilano sotto i suoi occhi tutti i passeggeri. Una galleria all star come quella del film di Lumet, da Johnny Depp, vittima predestinata nel ruolo di gangster cattivissimo a Judi Dench, matrona aristocratica. Da Penélope Cruz, ex istitutrice invasata da crisi mistica a Michelle Pfeiffer, fulcro dell’ingranaggio del giallo.

Ma c’è anche il veterano del palcoscenico, amatissimo da Branagh, Derek Jacobi, Willem Dafoe e, persino, ai margini, l’étoile Sergej Polunin, nella sua ennesima fuga dalla danza e dal Royal Ballet – prima per fare il tatuatore e ora più glamour come attore (quasi muto) nei panni di un irascibile conte ungherese.

Branagh mette in fila i cammei come décor di un film maggiormente apparentato con i remake di Guy Ritchie su Sherlock Holmes che con i suoi precedenti “agathachristiani”, ricercato nei particolari scenografici e insistito su prospettive particolari (come quelle a pozzetto durante il ritrovamento del cadavere) o in quelle vertiginose da esterno sul treno in corsa tra strapiombi e tempeste di neve.

La scelta è chiara: stare attenti alla sensibilità percettiva di un pubblico svezzato a videogiochi e riprese di droni. Lasciando troppo presto la strada dell’introspezione per quella dell’intrattenimento.