Terry Gilliam, un Don Chisciotte contro i mulini a vento di Hollywood. In sala
In sala dal 27 ottobre (per M2 Pictures) “L’uomo che uccise Don Chisciotte”, tormentatissimo film di Terry Gilliam. La pellicola inseguita per quasi trent’anni dall’ex Monty Python ha collezionato guai e cadute. Ultima la causa del produttore Paulo Branco che ha tentato fino all’ultimo di bloccare la proiezione al festival di Cannes. Il regista offre una personalissima rilettura del capolavoro di Cervantes con una riflessione sul ruolo dell’artista di fronte al potere dei soldi. Resta centrale l’amore, il grande sfoggio visionario del suo cinema e un po’ troppa confusione …
Il cartello inziale avvisa che la proiezione del film al Festival “non pregiudica azioni legali” da parte del produttore Paulo Branco. Terry Gilliam, insomma, ha vinto la sua battaglia ma non la guerra. Il suo Don Chisciotte, infatti, è stato proiettato a chiusura di Cannes, come previsto e dal 19 sarà nelle sale francesi. Come intenderà rivalersi in futuro Branco, sulle questioni finanziarie a suo dire rimaste in sospeso col regista, staremo a vedere.
Del resto l’ex Monty Python di tenacia, l’ha dimostrato, ne ha da vendere. Per arrivare a questo suo The Man Who Killed Don Quixote ha impiegato quasi trent’anni. E questo è storia. Anzi già mito. Cadute e risalite, finanziamenti andati a vuoto, ripetuti cambi di protagonisti (il fim è dedicato al precedente cavaliere errante, Jean Rochefort) hanno persino offerto materiale per un documentario, Lost in La Mancha (2002) di Keith Fulton e Louis Pepe, che ne ha documentato i troppi fallimenti.
Da vero condottiero in lotta contro i mulini a vento Terry Gilliam ha tenuto duro. Là dove persino Orson Welles ha rinunciato. Non stupisce, dunque, che in questa sua rilettura del capolavoro di Cervantes, il tema del denaro sia centrale. Meglio, l’intero film scritto col suo affiatato complice Tony Grisoni, è una riflessione sul ruolo dell’artista di fronte al potere dei soldi. Vedi Hollywood e affini.
È sul danaroso set di uno spot pubblicitario, infatti, che inizia L’uomo che uccise Don Chisciotte (titolo italiano di The Man Who Killed Don Quixote). Siamo in Spagna dove Toby (l’ottimo Adam Driver) sta girando davanti ai mulini a vento, per conto di un produttore rozzo e cialtrone (lo svedese Stellan Skarsgård). Nei suoi progetti c’è il colpo del secolo, stringere affari con un altrettanto rozzo e pure violento oligarca russo, che sogna a sua volta uno spot per vendere Vodka ai musulmani.
Toby dieci anni prima era già stato in quella terra, aveva girato una versione di Don Chisciotte in bianco e nero, come saggio d’esame, e aveva preso come interpreti gli abitanti del villaggio. Compresa una bella Dulcinea, figlia del birraio locale e un vecchio calzolaio (Jonathan Pryce) come prode condottiero. Il nuovo incontro coi due porterà Toby, suo malgrado, ad indossare i panni di Sancho Panza. E a sposare, alla fine, la causa del cavaliere errante. Compreso l’amore per la ritrovata Dulcinea.
Terry Gilliam, dunque, costruisce un macchinoso film nel film, seppure nel rispetto dell’anima di Cervantes, in cui la sua proverbiale cifra fantastica e barocca rischia, molto spesso, di far perdere tensione al racconto, ridondante come una festa di Carnevale. L’ossessione del regista, covata per decenni, non riesce a contagiare, né a catturare, pur regalando momenti godibili.
Eppure quello che non sfugge, in finale, è l’immedesimazione del regista con lo stesso personaggio. “La sua fortuna è stata vivere da pazzo e morire da savio”, dice più o meno il verso finale del poema che Gilliam mette in bocca, testuale, al suo vecchio Don Chisciotte. Lui muore ma Toby ne prenderà il testimone. Lunga vita al cinema dei folli, dunque. Che Terry Gilliam conosce bene.
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Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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