Addio Abdon Alinovi, il “Rosso pompeiano” della meglio gioventù. Che sognò la primavera
Si è spento il 15 febbraio a 94 anni Abdon Alinovi, parlamentare ed esponente di punta del Pci napoletano. Lo ricordiamo con questo suo libro, “Rosso pompeiano”, in cui allora 93enne, attraverso ricordi e riflessioni politiche riannodava i fili della memoria per continuare a guardare al futuro, con ostinazione, cercando nuovi segnali di una liberazione possibile. Un libro che è davvero un film…
Un saggio storico-politico di 500 pagine che si divora come un romanzo. Un autore di 93 anni (è del 6 maggio 1923) che continua a guardare al mondo, con ostinazione, cercando nuovi segnali di una liberazione possibile. Quel mondo che dalle fila del Pci, fin da ragazzo, ha cercato di rendere migliore con la migliore politica. Quella dei buoni maestri, Gramsci su tutti, per “elevare le classi subalterne a protagoniste della storia”…
Eccola dunque la storia che Abdon Alinovi, figura di punta del Pci napoletano, parlamentare e presidente della Commissione Antimafia negli anni più bui del delitto Dalla Chiesa, intreccia ai ricordi personali, come in un romanzo di formazione. Ripercorrendo gli anni dell’adolescenza, ad Eboli, attraverso il fascismo e poi la prima giovinezza sotto le bombe, la devastazione della guerra, la “svolta di Salerno”, il governo nazionale fino alla Liberazione e verso la cotruzione di “una democrazia progressiva”.
Trent’anni di storia, circa, in cui intorno ai protagonisti, da Gramsci a Matteotti, da Togliatti a Croce, Alinovi muove e illumina un coro di “personaggi secondari”, alla stregua di uno sceneggiatore di talento. Caricando la narrazione di immagini, quadri e scene folgoranti che fanno di Rosso pompeiano (a cura della figlia Valeria Alinovi, Città del Sole edizioni, 18 euro) un potente soggetto per il cinema, una sorta di Novecento (sì, il capolavoro di Bertolucci) sul Meridione d’Italia, crocevia sud-europeo della lotta al nazifascismo.
E tra i tanti contadini, operai, artigiani uno fra tutti: Mario Garuglieri, calzolaio fiorentino comunista “che parla meglio di un professore”, confinato ad Eboli dopo una condanna a 24 anni dai tribunali fascisti, per essersi difeso durante un’aggressione squadrista. Nel suo doloroso peregrinare nei carceri italiani, Garuglieri è stato anche compagno di Gramsci a Turi. E la sua vicenda umana e politica, conclusasi con la morte nel 1953, fa da filo conduttore a Rosso pompeiano. In cui, prezioso documento per gli storici, è pubblicato per la prima volta il suo drammatico memoriale di difesa di fronte alla Corte d’Assise di Firenze, nell’agosto del 1922.
È nella povera bottega di calzolaio di Mario Garuglieri, ad Eboli, che il giovanissimo Abdon, appena diplomato scoprirà la politica, da cui non si distaccherà più. Una “missione” che crescerà in lui osservando fin da bambino le “classi opprese sfruttate”. Quando a sera ascoltava i canti delle buattere, le operaie che “tornavano dalla fabbrica di pelati, stipate all’in piedi nel grosso camion partito alle prime luci del giorno, con i caporali”, o chiedendo a sua madre, maestra elementare, cosa significasse la parola “bracciante”, che sui registri di classe, accanto ai nomi degli scolari, indicava in maggioranza la professione dei padri.
Ricordi, racconti che si fanno nitide immagini nella narrazione. Ecco Spartaco Lavagnini, ferroviere fiorentino comunista, ucciso a Firenze nel febbraio del ’27, da quattro fascisti che bussano alla sua porta e gli sparano a brucia pelo. Ed ecco gli scioperi e le proteste che seguono al suo omicidio che portano a Firenze un giovanissimo Palmiro Togiatti in veste di cronista di Ordine Nuovo.
E così riusciamo a “vedere” il volto segnato ma tenace di Penelope Parlapiano, moglie di Garuglieri, ricamatrice fiorentina in grando persino di portare all’attenzione de L’humanité la drammatica situazioni delle carceri fasciste. E immaginare, il fermento e l’emozione dentro la bottega del fabbro Olindo Cuomo, primo segretario del Pci di Eboli, affiancato dal giovanissimo Abdon vice segretario, mentre “braccianti, contadini, operai … e noi studenti universitari” cantano insieme Bandiera rossa per festeggiare la nascita della sezione.
Ed è una scena da vera commedia, ancora, l’apparizione di Carlo Grobert sindaco di Pozzuoli, “vittima” della scomunica del Vescovo che “convoca il popolo nella grande piazza” e con un colpo di teatro lancia contro il prelato, corrotto e faccendiere, una controscomunica in “nome del popolo lavoratore e cristiano”. Come sul filo della leggerezza corrono, poi, i ricordi più antichi, quelli di ragazzino al Convitto di Spoleto, a cui arriva nel ’34 all’indomani della scomparsa del padre. E dove Abdon si trova in “compagnia di tanti ragazzi provenienti da tante regioni, portatori di tante novità”. Tra cui Filippo Gallozzi – il papà di chi scrive – “carattere soave – sottolinea Alinovi-. Saremo compagni fino alla maturità. Puntuali i suoi aiuti nei compiti di matematica. Quando c’incontreremo, lui alto magistrato della Corte dei Conti, sarà come riprendere il discorso di una fraterna amicizia. La vita in comune ci aveva fatto bene”.
Rosso pompeiano si conclude col V congresso del Pci alla Sapienza di Roma nel ’45, “il primo nella piena legalità” in cui Abdon abbraccerà per l’ultima volta Mario Garuglieri. “I conti della storia si erano compiuti”, con la “certezza che il tempo delle armi fosse finito, che la rivoluzione sarebbe stata portata avanti pacificamente”. Così pensava la meglio gioventù che di questo cammino aveva gettato le basi. Ma se la storia è andata diversamente, non bisogna comunque smettere di cercare nuove vie per costruire “un mondo di pace, di liberi e di eguali”. Parola di un ragazzo di 93 anni a cui bisogna credere. E oggi che se n’è andato, ancora di più.
Alla figlia Valeria e a tutta la sua famiglia il nostro abbraccio.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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