Un’ora d’aria (buona) per il cinema italiano. Grazie ragazzi! arriva in sala

Al cinema dal 12 gennaio (per Vision Distribution), “Grazie ragazzi!”, il film di Riccardo Milani che riprende una storia vera già portata sugli schermi da Peter Cattaneo (“Lucky Break”) nel 2001 e da Emmanuel Courcol (“Un Triomphe”) nel 2020. Un regista teatrale mette in scena “Aspettando Godot” con i detenuti di un carcere. Che sul più bello ne approfittano per evadere. Un film che colpisce al cuore…

Non finirà mai di sorprendermi la scarsa memoria (non mi permetterei mai di usare il termine “conoscenza”) di chi fa cinema e di chi ne scrive qui da noi in Italia. Nel 2001 un regista inglese anche parecchio noto come Peter Cattaneo fece Lucky Break, interessante commedia basata su un documentario svedese che narrava la vera vicenda del regista teatrale Jan Jonson e della sua messa in scena di Aspettando Godot, sublime testo di Samuel Beckett, con i detenuti di un carcere.

Nel 1985 lo spettacolo aveva avuto un successo così portentoso da permettere ai detenuti di andare in tour fino a raggiungere il Teatro Royal di Goteborg. Il giorno della prima gli attori furono protagonisti di una rocambolesca evasione.

Nel 2020 la stessa storia fu oggetto di un remake francese ad opera di Emmanuel Courcol, Un Triomphe. Del film di Cattaneo Palomar, produttrice italiana di Grazie Ragazzi, remake nostrano di Riccardo Milani che esce il 12 gennaio, non aveva mai sentito parlare. Vai a sapere, magari i diritti inglesi costavano meno di quelli francesi. Eppure tutti gli interessati, e chi di cinema scrive oggi sui media, hanno suppergiù la mia stessa età: dovremmo padroneggiare, in teoria, gli stessi ricordi.

Detto questo, Grazie Ragazzi è uno di quei film che eccezionalmente riconciliano con la produzione di casa nostra. E non è un caso che entrambi i film “fuori serie” dell’ultima stagione – includo ovviamente La stranezza di Roberto Andò, a cui per un pelo Aldo, Giovanni e Giacomo hanno soffiato il primato tra gli incassi nazionali del 2022 – siano imperniati sul teatro e su pièces leggendarie. Sono lavori che rendono popolare, leggibile ed emozionante la cultura “alta”.

Tralascio le ovvietà del caso (tipo il potere salvifico del teatro, tipo il corto circuito tra gli “ultimi” del testo di Beckett e i reclusi dietro le sbarre, per cui “aspettare” è una condizione esistenziale, tipo i riferimenti a Cesare deve morire dei Taviani) per dire che la forza del film sta nell’aver sfruttato una eccezionale tavolozza di perfetti sconosciuti ( i “detenuti” Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi, Gerhard Koloneci e Bogdan Iordachioiu) a fianco dei supertalenti noti: Antonio Albanese in primis, e al suo fianco Sonia Bergamasco, Fabrizio Bentivoglio, Vinicio Marchioni.

La verità è che non ne possiamo più di vedere sempre le stesse eterne facce omologate, nei nostri film. Senza questa boccata d’aria fresca, non crederesti a una parola di quello che ti viene raccontato, e forse nemmeno i talenti rodati avrebbero trovato nuova linfa, nuova energia.

È un film che sarà distribuito in 450 copie, poco meno degli ultimi e più facili successi di Milani (meglio Come un gatto in tangenziale e sequel che Corro da te, comunque), ma che a sorpresa riserva il famoso “groppo in gola” a parecchie riprese. Si poteva asciugare con un montaggio migliore la parte del tour tra Siena, Pisa e Perugia, che risulta piatta e ripetitiva. Ma il lavoro di mise en abyme di questi attori che devono impersonare non-attori in progressiva crescita, semianalfabeti alla presa con la scalata dell’Everest beckettiano, è davvero notevole, e colpisce al cuore.

Ho ritrovato la meraviglia dell’Antonio Albanese teatrale, quello più vero, e quello che amo di più. Sonia Bergamasco, Fabrizio Bentivoglio e Vinicio Marchioni rifioriscono, letteralmente, come se in metafora i riferimenti teatrali li riportassero nell’atmosfera a loro più congeniale.

È il caso di ricordare che Bergamasco sarà in scena all’Argentina di Roma con Marchioni e Chi ha paura di Virginia Woolf ? dal 31 gennaio.

Nicola Rignanese, inseparabile compagno di scena di Albanese da tutta una vita, qui fa il secondino. Ed è l’unico, tra di loro, ad aver fatto davvero lavoro teatrale in un carcere di massima sicurezza. Per sei lunghi anni. Chapeau.

fonte Huffington